Miracoli visivi, tra sentimenti, società e politica

0 0

La vita, la politica, la donna

“Miss Marx”, di Susanna Nicchiarelli, Ita-Bel., 2020.

Eleanor segue il padre Karl nella strada per il socialismo ma si perde sulla via del sentimento. La sovrastruttura amorosa si impone sulla struttura della Storia. Dedita alle lotte operaie e femministe, Eleanor si innamora di Edward, commediografo di belle speranze, e si smarrisce. Fuori combatte e fa le barricate, dentro non accetta di condividere con altre il suo amore, come la madre aveva fatto con l’inarrivabile padre, assecondandone la passione per la governante. Freud rincorre tutti in casa Marx, ma non raggiunge nessuno. E’ sul palcoscenico dell’arte, quella di Ibsen e della sua “Casa di bambola”, che Eleanor svela tutto ad Edward e a noi. L’infelicità personale è incondivisibile, attraversa patriarcato e maschilismo, cerca di vincerli ma non ci riesce. Tutto e subito non si può. La lotta sociale c’entra poco con l’animo, ci vuole molto più tempo a cambiare l’Io che non le sorti del mondo. Nel frattempo, rimani schiacciato. Come Eleanor, felice di lottare per l’avvenire di tutti e stanca di soffrire delle sue umane delusioni. Decide così di lasciare questo mondo doppiamente ingiusto. Con i padroni da una parte, e il maschio padrone dall’altra, Susanna Nicchiarelli, dopo “Nico”, dipinge un altro ritratto femminile disperato e disperante e trova l’anello di congiunzione tra le “sue” due donne nella scelta, a dir poco originale, della splendida colonna sonora post rock dei Gatto ciliegia contro il Grande Freddo.

L’immagine e il sentimento

“Quel giorno d’estate”, di Mikhael Hers, Fra, 2018.

Al di là dei rimandi a De Sica, Cassavetes e Moretti, la cinepresa di Hers insegue e cesella i visi di Amanda e David come raramente accade, soprattutto quando li sospende temporalmente sulle loro biciclette. Il sentimento al cinema si muove indipendentemente dalla volontà del racconto, sfugge ai limiti della narrazione, si offre d’improvviso allo spettatore, quasi a volerlo sorprendere. Tutto muta, tutto cambia, nella vita. Un film è la sua sintesi, ogni inquadratura, scena o sequenza può valere ore, giorni. E’ il montaggio l’orologio del tempo cinematografico, decide quando si cresce, si diventa adulti, anche in un attimo. E così Amanda, bambina rimasta tragicamente sola, ci accompagna verso una nuova vita, regalandoci la sua infanzia che non si vuole arrendere, rifacendoci bambini per sempre. Ma non le basta, e nella sequenza di Wimbledon, ci coinvolge in uno dei più bei finali degli ultimi venti anni, con uno struggente parallelismo presente-memoria, dentro una frase e una partita di tennis: geniale!.

il giovedì

Il giorno della verità

“Il giovedì”, Di Dino Risi, Ita, 1964.

23 gennaio 1964, arriva nelle sale “Il giovedì”, ennesimo capolavoro di Dino Risi e uno dei film chiave della grande stagione della commedia all’italiana.
L’anno appena trascorso aveva registrato i primi scricchiolii del boom. L’occasione era, dunque, buona per riflettere. Su anni veloci e spietati, che tutto travolgono. E così un giovedì di fine estate, carico di metafore, segna il bilancio pubblico e privato di un paese ebbro di tutto. Papà Dino (un inarrivabile Walter Chiari), separato, autobiografia lecita e fortunata in tempi di Nouvelle Vague per il grande regista milanese, ritrova per un giorno Robertino, affidato alla mamma teutonica ed efficientista come i tempi ed il lignaggio richiedono. Imbarazzo e stress da dimostrazione per un padre dai pochi esempi e i molti fallimenti, curiosità e intuizione infantile per Robertino che tutto capisce e giustifica, lui così piccolo eppure così tremendamente grande. Una gita in macchina, il mare, il gelato, le gemelle Kessler dal vivo, il tutto compensato dallo schiaffo di un creditore al papà inevitabilmente insolvente. “Ladri di biciclette” senza nulla da ritrovare se non mani strette come quelle di Maggiorani e Staiola; altri tempi, altre necessità, uguali solitudini. E allora rieccoli, finalmente, la periferia dell’infanzia di Dino, anche se già aggredita dal cemento, il prato ultimo lembo di natura vissuta, come in Pasolini, la partita a pallone, il vociare dei bambini così diverso dall’asettico collegio di Robertino. Attimi sospesi e sguardi felici, come quello della nonna in ristrettezze e dalla casa modesta. Altri odori, altri sapori, ma poveri troppo poveri per diventare quotidiano, abitudine. Per Dino meglio rituffarsi nell’illusione. Robertino a tarda sera è di nuovo in albergo dalla mamma; un separè per la cena è l’addio a papà. Un fischio è il segnale segreto che li unisce per sempre. Regali crudeli da neocapitalismo e un nodo alla gola che il sottofondo di Endrigo ci costringe a sciogliere.

 


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21