Un pezzo d’antiquariato che vale un milione di euro, un furto misterioso, il gruppo sanguigno di uno sconosciuto e due omicidi così lontani e così vicini, ai quali se ne potrebbe aggiungere un terzo. Ecco cosa emerge dai due cold case e dalla riapertura delle indagini – anticipata da AGI il 7 giugno scorso – sull’omicidio di un ingegnere, Angelo Tumino, in una provincia siciliana che, all’apparenza, si mostrava più tranquilla delle onde del bellissimo mare che ne lambiscono le coste estive, Ragusa. E quello conseguente del giornalista Giovanni Spampinato.
Riaprire le indagini su un omicidio dopo 49 anni, delitto rimasto senza autori, mandanti né movente, richiede un esercizio di lettura particolare. È un giallo.
I due omicidi turbarono la quiete iblea nel 1972. Quello dell’ingegnere, su cui indagava il giornalista dell’Ora il 25 febbraio. Quello del giornalista, otto mesi e due giorni più tardi, il 27 ottobre. Riannodando i fili dei due casi, si trovano tanti punti oscuri, incredibilmente lasciati tali nell’immediatezza dei fatti. E si comprende come il giornalista fosse più avanti di quanto le indagini avessero (o volessero?) dimostrato.
La certezza, forse l’unica, fu che la mano omicida che spezzò la vita al cronista fosse quella del figlio dell’allora presidente del Tribunale del capoluogo ibleo, Roberto Campria. Il medesimo sul quale Spampinato aveva indirizzato i sospetti per il primo omicidio. V’immaginate cosa voglia dire indirizzare articoli e sospetti sul figlio del presidente di un Tribunale? Ed allora riannodiamoli questi fili.
L’ingegnere Angelo Tumino – che Spampinato definisce “ex playboy, già esponente del MSI, già costruttore edile, da alcuni anni si occupava quasi esclusivamente di antiquariato” – venne ucciso verso le 18:30 del 25 febbraio. Ed il cronista, battendo la pista dell’antiquariato, nell’articolo del 28 aprile 1972 scrisse di un “pezzo di gran pregio”. Un pezzo che doveva essere trafugato “nel deposito di materiale di antiquariato di Ibla di proprietà di Angelo Tumino”.
Ma a che pezzo fa riferimento Giovanni Spampinato? Secondo quanto l’AGI ha avuto modo di verificare ad un cratere con quadriga, ovvero un vaso attico, riconosciuto informalmente come autentico da un funzionario (ed esperto) della Soprintendenza di Siracusa dell’epoca, pochi giorni prima dell’omicidio dell’ingegnere. Un pezzo che, secondo fonti qualificate, valeva all’epoca fra 80 e 100 milioni di lire. Soldi che rivalutati oggi a distanza di mezzo secolo, farebbero la cifra di quasi un milione di euro.
L’affare dell’antiquariato, il medesimo che nel ragusano ed in altri luoghi consentiva di fare soldi a palate, spesso utilizzati non solo per arricchimento personale, ma anche per finanziare le peggiori trame del Paese, dagli estremismi alle mafie. Lo stesso affare che, negli stessi anni, portò al grave furto dal museo di Ragusa di una preziosissima “testina” rinvenuta nel corso nella campagna di scavo nel 1972 a Camarina. Un vero e proprio traffico di reperti archeologici, del quale con ogni probabilità ne faceva parte anche il cratere con quadriga a cui si riferiva Spampinato e che apparteneva all’ingegnere Tumino.
Tasselli di un mosaico difficile da ricomporre, al quale va aggiunto un altro elemento ed un’altra morte misteriosa: nell’estate del 1970 un noto restauratore di Ragusa Ibla, Salvatore Guarino, spesso incaricato da Tumino ad effettuare lavori di restauro su suoi reperti archeologici, venne trovato in possesso di più crateri attici, di sicura provenienza delittuosa. E lo stesso restauratore nel giorno dell’Epifania del 1973, morì folgorato sul campanile del duomo di San Giorgio di Ibla, proprio mentre erano in corso le indagini sull’omicidio del Tumino.
Tornando all’omicidio dell’ingegnere, sulle colonne dell’Ora il 7 luglio 1972 Spampinato scriveva: “Molte persone, una decina o forse più, hanno visto l’ing. Tumino in compagnia del suo assassino. Tutti descrivono il misterioso personaggio come un giovane di non piu’ di trent’anni, col viso affilato, con gli occhiali, vestito di scuro”.
Il cronista, neanche tanto velatamente, faceva cadere i sospetti proprio sul giovane Campria a cui, sostanzialmente, corrispondeva la descrizione. Ecco l’incredibile scoperta dei giorni nostri. Fra le carte accantonate nel fascicolo dell’omicidio dell’ingegnere, si ritrova una relazione del medico legale: nella macchina del malcapitato – una NSU Prinz senza il sedile accanto al posto di guida (era stato rimosso per ricavare un ampio planale di carico per il materiale di antiquariato) – il giorno della morte venne repertato un sacco di juta posizionato nel sedile posteriore, accanto all’omicida. Nei filamenti del sacco vennero individuati due gruppi sanguigni: il primo, del Tumino (gruppo A) il secondo di un ignoto, gruppo B.
Chissà cosa avrebbe scritto Spampinato se avesse saputo questo dettaglio relativo ad un gruppo sanguigno, il B, che com’è noto non è così diffuso. Di chi era? La risposta, a 49 anni di distanza, potrebbe già essere in possesso degli inquirenti che hanno riaperto le indagini, le sezioni di polizia giudiziaria di Finanza e Polizia di Stato, coordinati dal procuratore di Ragusa Fabio D’Anna e dal sostituto Santo Fornasier.
E se tutto ciò non bastasse, anche l’orario dell’omicidio del Tumino, posto nel tardo pomeriggio dalle relazioni dell’epoca, potrebbe essere rivisto di qualche ora. Se anche questo elemento convergesse, si aprirebbe uno spiraglio forse definitivo nell’individuazione del colpevole di quell’omicidio. E mostrerebbe, qualora ancora oggi ce ne fosse bisogno, quanto attento e scrupoloso fosse stato il lavoro del giornalista Giovanni Spampinato. Purtroppo dimenticato.