Mentre si assiste alla cerimonia (ennesima) del lancio nelle orbite celesti delle tecniche digitali, assurte ormai a vera e propria ideologia, il governo presieduto da Mario Draghi sembra sordo rispetto alla crisi gravissima dell’informazione. Quella classica, certamente, filiata dall’età analogica e ora alle prese con una tumultuosa transizione. Tuttavia, l’universo numerico in tanto potrà avere fortuna, in quanto sarà in grado di irrogare i suoi molteplici canali diffusivi con contenuti adeguati e prodotti secondo standard qualitativi. Altrimenti, rischia davvero di vincere la logica delle fake news, illimitate e lontane da ogni deontologia.
Insomma, se ci si limita a varare documenti – come quello recente dei ministeri della transizione digitale e dello sviluppo economico- intitolati con qualche presunzione Verso la Gigabit society senza interessarsi della base materiale del sistema e della necessaria creazione di conoscenza, il pericolo è che il digitale divenga rapidamente un inganno. Una cattiva promessa, volta a premiare di fatto i grandi oligarchi della rete e a incentivare le odiose forme di sorveglianza di massa.
Bene hanno fatto la federazione nazionale della stampa e l’associazione Articolo21 a promuovere ieri in numerose città italiane momenti significativi di mobilitazione.
I punti della vertenza sono numerosi e, purtroppo, assai arati. Intanto, vi è lo scandalo del blocco dell’iter parlamentare delle proposte di legge volte ad abolire il carcere per i giornalisti nei casi (quasi sempre dubbi) di diffamazione e a contrastare il ricorso crescente alle querele temerarie per imbavagliare il diritto di cronaca.
Inoltre, ancora una volta si sta per decidere il nuovo vertice della Rai (a fine giugno?) senza avere riformato l’azienda di servizio pubblico, liberandola dai condizionamenti di partiti, salotti, lobby, gruppi di potere.
Non solo. Non si intravvede nelle numerose pagine dello stesso Recovery Plan un’attenzione pur minima alle drammatiche questioni del lavoro nell’informazione. Meglio: del non-lavoro, del precariato, dell’utilizzo abnorme dei contrattini co.co.co, dello schiavismo intellettuale che assomiglia ad un novello Medioevo. Un caso clamoroso riguarda la mancata applicazione della l.233 del 2012 sull’equo compenso giornalistico. Un testo volutamente semplice e chiaro. Niente da fare. La chiusura da parte degli editori in merito all’attuazione di un livello minimo di garanzia per chi opera nel settore senza complessi editoriali alle spalle è un sintomo di una mentalità angusta e pericolosa, pure ai fini del reale utilizzo delle risorse digitali.
A proposito di editori e di connubio arretrato con il governo, è indispensabile ritornare ancora una volta sul tormentone annoso dei tagli in vista del fondo per il pluralismo e l’innovazione. Benché, infatti, il cortese sottosegretario con delega al settore Giuseppe Moles abbia varie volte assicurato di avere sensibilità al comparto, la realtà è tutt’altra. L’articolo 67 del decreto sostegni bis prevede che dal prossimo 2023 riprenda la mannaia sul fondo: azzerato in un triennio. E a favore della cosiddetta pubblicità incrementale, cui tengono le proprietà dei giornali. Alla crisi strutturale dell’editoria si risponde, dunque, non con una visione del e sul futuro, bensì raggranellando un po’ di risorse ai danni delle testate cooperative o prive di finalità di lucro. Ci risiamo, con la ripetitività oscena e sgraziata del suono di un antifurto di una macchina di notte. Una vicenda insieme drammatica e terribilmente noiosa.
Inoltre, sta scoppiando l’istituto previdenziale, a furia di sopportare una quantità rilevante di ammortizzatori che spetterebbe al governo sovvenzionare. Chissà se l’esecutivo attuale vorrà mettere la testa in una vicenda che potrebbe avere effetti a cascata.
Il parlamento europeo ha battuto un colpo. Vi è stata un’audizione con la vice presidente di Strasburgo Roberta Metsola in merito proprio al contrasto delle Slapp, acronimo inglese per le azioni legali bavaglio. Un piccolo, ma utile segno di coinvolgimento attivo.
Alle iniziative di ieri hanno partecipato o aderito associazioni e organizzazioni sindacali.
Come un vecchio adagio recitava, la lotta paga.