Si è tenuto presso il Senato della Repubblica un rilevante convegno sul “diritto alla conoscenza”. Promosso dall’Associazione intitolata al grande giornalista di inchiesta Mimmo Càndito (fu presidente dei Reporter senza frontiere dal 1999) grazie all’impegno del presidente della Biblioteca Gianni Marilotti e di Gian Giacomo Migone, coordinato da Marinella Venegoni, il dibattito è stato ricco e intenso. Finalmente un elenco di adesioni vasto: Federazione della stampa, Fondazione Basso, Indice- Libri del mese, Fondazione Murialdi, Critica liberale. Sembra essersi un po’ rotto il muro di silenzio che ha avvolto una storia drammatica. Vi sarebbe stata, al suo tempo, materia per una tragedia shakespeariana. Personalità come lo stesso Assange, Edward Snowden (co-autore), Chelsea Manning (la fonte militare testimone e disperata)
La vicenda di Julian Assange è gravissima in sé e per sé. Questo il leit motiv del convegno E, tuttavia, le pur drammatiche conseguenze del processo (175 anni di carcere, in caso di condanna definitiva) contro il fondatore di WikiLeaks – sul quale pesa l’incredibile accusa di spionaggio- non si fermano ad una dolorosa vicenda personale.
Si tratta di un caso emblematico, di un vero e proprio punto di rottura della sintassi che dovrebbe regolare il diritto di cronaca e la sua libertà di esercizio. Com’è noto, numerosi e costanti sono gli attacchi ad un diritto considerato fondamentale da indirizzi internazionali e Costituzioni nazionali. Nel caso del giornalista di origine australiana si sta facendo una prova generale dell’offensiva contro l’autonomia dell’informazione.
Probabilmente, in un quadro post-globale come quello che stiamo vivendo, accentramento delle decisioni e marginalizzazione di chi è ritenuto eccentrico rispetto al quadro dominante sono ingredienti del nuovo sistema. Insomma, non si sa e non si deve sapere, come recitava il titolo di una famosa pièce di Dario Fo.
Siamo di fronte, dunque, alla strategia del segreto evocata in un felice testo (Fa notizia, 1981) da Giovanni Cesareo. Esistono livelli, labirinti e tornanti che non possono essere conosciuti, perché spesso estranei alla stessa legalità evocata nelle normative ufficiali. E vi sono ambiti che appartengono alla categoria dell’impunibilità.
La storia di WikiLeaks è esattamente questo: guerre sporche, dossier aggio massivo, brutture vergognose escono dalla clandestinità e dalla zona grigia, per divenire news accessibili. Quindi, non sono illegali le cose illegali, bensì chi le porta alla luce. Durissimo l’intervento, al riguardo, del presidente del sindacato dei giornalisti Giuseppe Giulietti: la colpa di Assange, in estrema sintesi, è di aver dato lustro al diritto di cronaca nella sua essenza profonda. Basti leggere, poi, il documento stilato dallo Special Rapporteur on Torture delle Nazioni Unite, Nils Melzer.
Il calvario in atto da anni apre uno squarcio inquietante sullo stato delle cose. Ne ha parlato, con sobria stringatezza il padre di Assange John Shipton (che differenza rispetto a certi talk nostrani che giocano cinicamente sul dolore) e gli ha fatto eco l’avvocato australiano Greg Barns.
Intervento essenziale quello di Stefania Maurizi, ora professionista de il Fatto Quotidiano, cui si deve la tenacissima iniziativa di cura di un problema colpevolmente rimosso.
Attorno al diritto alla conoscenza e al valore supremo che ha la lotta per la libertà di espressione hanno offerto considerazioni puntuali Raffaele Fiengo, Enzo Marzo e Nello Rossi.
Tra l’altro, un profondo conoscitore delle vicende statunitensi come Furio Colombo ha ben chiarito recentemente che un’eventuale condanna di Assange costituirebbe un precedente pesante per la giurisprudenza di Washington. Se i Pentagon Papers (1967) furono considerati legittimo esercizio del diritto di cronaca pur parlando della guerra del Vietnam in corso, a maggior ragione WikiLeaks meriterebbe consensi e riabilitazione. Joe Biden, batta un colpo.
A nome dell’associazione Articolo21 Vincenzo Vita ha proposto al senatore Marilotti (che ha offerto il suo impegno) di depositare una mozione parlamentare volta chiedere al presidente del consiglio Mario Draghi di portare nel consesso europeo e nei rapporti bilaterali con gli Stati Uniti l’esigenza della liberazione di Assange, le cui condizioni di salute sono assai allarmanti. Simile iniziativa è stata già assunta da gruppi di diverso orientamento politico nelle assemblee britanniche e australiane.
Che paradosso: la stagione digitale sembra aprire tante porte. E il potere le chiude. Meglio gli Over The Top con i loro algoritmi proprietari e mai trasparenti o la sorveglianza di massa ormai di uso “normale”?