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La storia di Seid ci fa male

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Seid Visin aveva 20 anni. Ha scelto di togliersi la vita nel pieno della sua giovinezza, nel pieno delle sue possibilità di scegliere chi, e cosa, essere. Un disagio che si portava dentro da tanto tempo, che gli faceva “sentire gli sguardi schifati delle persone su di sé”. Un ragazzo di origini africane, adottato da una coppia di italiani, che viveva con la passione per il calcio, che lo aveva portato a militare anche nelle giovanili del Milan. Un mondo che aveva poi scelto di lasciare per dedicarsi allo studio. E Seid, con i suoi 20 anni, non è riuscito a combattere i suoi fantasmi. Nella sua lettera, scritta nel 2019 ma pubblicata solo oggi, il ragazzo ripercorre tutto il suo disagio, il suo sentirsi diverso nel mondo che gli apparteneva, la paura di non essere accettato, di essere guardato come un corpo estraneo, solo per il colore della sua pelle.

Un enorme vuoto, tanta solitudine. Un rumore forte, che scuote le coscienze e fa chiedere il perché. Quando, purtroppo, non sempre una spiegazione c’è. Si vive oggi la peggiore crisi dal secondo dopoguerra, un’emergenza sanitaria che ha allontanato speranze, emozioni, persone. Un’epoca che ha reso ancora più fragile chi aveva difficoltà a rialzarzi. Un momento in cui, soprattutto per i giovani, l’esigenza di tutelare la salute psichica si fa sempre più forte. Una generazione alla quale sono stati rubati anni fondamentali per la crescita personale, che la società ha il dovere di risarcire. Intercettare il disagio sociale non vuol dire solo preoccuparsi di economia, andando a tamponare una ferita che in realtà dietro nasconde molto altro. Entrare nelle difficoltà delle giovani generazioni significherebbe spurgare quella ferita, dando delle possibilità concrete di uscire dalla solitudine che il covid ha acuito. Donare una speranza, come ha ricordato anche Papa Francesco nella giornata appena trascorsa, riferendosi proprio ai giovani.

La storia di Seid ci fa male, siamo costretti a guardare i suoi sogni di 20enne andare via con lui. Un’alienazione che la nostra società non è stata in grado di colmare. Una solitudine che, troppe volte, non si è in grado di capire.


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