Tenere segrete le fonti di informazione nella professione giornalistica non è un privilegio ma una necessità. Si possono e si devono attaccare – anche legalmente – le notizie ritenute false o lesive dell’immagine di una realtà o della dignità delle persone, ma non chiedere dove un giornalista ha attinto quelle informazioni. Quando una persona racconta fatti che vuole che siano conosciuti, è possibile che abbia intenzione di togliersi qualche sassolino dalla scarpa o che addirittura voglia consumare una vendetta ma il dovere del giornalista è di verificare che non vi sia falsità e non quali siano le ragioni che portano a svelare quelle notizie. Molto più probabilmente ciò che spinge la fonte a raccontare a un giornalista fatti di cui è stato testimone è la garanzia di restare anonimo e, quindi, al riparo del potere usato come minaccia. Per queste ragioni la sentenza del Tar del Lazio che condanna Report a rivelare di fatto le fonti all’avvocato Mascetti non garantisce e tutela questa condizione. Piuttosto che destare il sospetto di voler intimorire le fonti, la parte che si sente lesa dimostri l’infondatezza delle accuse e quereli per calunnia. Sarà che non spera di farcela?