A questo punto ritengo necessarie alcune riflessioni e puntualizzazioni sulle ipocrisie di una certa politica sul tema mafia, manifestate in queste settimane. Esse hanno riportato alla ribalta vecchie tentazioni d’indebolimento, addirittura di cancellazione di norme e azioni rivelatesi molto efficaci nel contrasto alle mafie antiche e nuove.
Prima riflessione: alcuni settori del centrodestra, in concomitanza del decreto sulle Semplificazioni, per accelerare la spesa del PNRR e dei Fondi europei e superare la crisi economica aggravata dal Covid 19, hanno chiesto di mettere da parte e di sospendere le norme di monitoraggio, controllo e contrasto delle infiltrazioni mafiose negli appalti e subappalti con la giustificazione che esse intralciano la velocità di realizzazione delle opere pubbliche.
Seconda riflessione: nel momento in cui Brusca Giovanni, feroce pluriassassino, stragista degli anni ottanta e novanta, diventato collaboratore di giustizia, consentendo di smantellare la vecchia mafia, finito di scontare la pena comminatagli con lo sconto per la sua collaborazione, esce dal carcere, alcun caporioni del sovranismo populista nazionale, strumentalizzando il turbamento dei familiari delle vittime innocenti di mafia, hanno osato proporre la cancellazione delle norme premiali per i collaboratori di giustizia. La migliore risposta gliela ha dato Maria Falcone che ha ricordato che la legge, pensata da suo fratello Giovanni, aveva aperto gli scrigni segreti del sistema mafia e politica.
Terza riflessione: le osservazioni della Corte Costituzionale e della Corte dell’Aia sull’ergastolo ostativo sono usate per chiedere la cancellazione dell’ergastolo per tutti quei mafiosi che finora si sono rifiutati di collaborare con la giustizia svelando i propri crimini e dei loro affiliati, i loro accumuli illeciti di ricchezza, le loro collusioni con uomini della politica, delle istituzioni e dell’economia.
Gli antichi e novelli garantisti sostengono che la mafia è cambiata, quindi si può cancellare la severità delle leggi. Fanno finta di ignorare che la legislazione premiale per i collaboratori di giustizia ha consentito di sconfiggere la mafia stragista dei corleonesi, ma non ha eliminato le nuove mafie sempre vocate all’accumulo di ricchezza con la violenza dell’intimidazione e della corruzione, sempre chiuse all’interno, ma aperte all’esterno per allacciare rapporti con la politica, con l’aria grigia delle professioni, dell’economia, della finanza, senza rinunciare al controllo del territorio e della società. I novelli “garantisti buonisti” dimenticano che nelle famiglie di mafia si entra col giuramento indissolubile e si esce solo da morti.
Se confrontiamo queste “ipocrisie garantiste”con le richieste del Papello di quasi trent’anni fa di Riina troviamo una perfetta coincidenza. Infatti, il Papello chiedeva la revisione del 41bis e dei processi, l’abolizione delle misure di prevenzione personale e patrimoniali, la cancellazione dell’ergastolo, il ridimensionamento del ruolo dei collaboratori di giustizia.
Inoltre si dimentica facilmente la lezione storica che va da Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino a Pio La Torre e Rocco Chinnici. Essi hanno dimostrato che il” connotato della mafia è costituito dal rapporto con settori del Potere” (intensificatosi dall’agosto del 1943 a oggi) che per molto tempo ne ha negato l’esistenza. Nel dopoguerra della mafia siciliana si è cominciato a parlarne, nonostante esistesse dall’Unità d’Italia, soltanto dal 1959, della camorra dopo il 1980, della ‘ndrangheta solo dopo le stragi degli anni novanta, ma esse sin dall’Unità d’Italia hanno collaborato con parti della classe dirigente per accumulare ricchezza sottratte alla collettività e sostenere il regime vigente. Soltanto dopo l’approvazione della Rognoni-La Torre, avvenuta dopo le uccisioni di La Torre e di Dalla Chiesa e la mobilitazione del Paese e del Parlamento il reato di associazione di stampo mafioso entra, dopo 122 anni dall’Unità d’Italia, nel codice penale assieme alla confisca dei beni proventi di reato, per i mafiosi più insopportabile dell’ergastolo. La legge diventerà la madre di tutta la legislazione antimafia nazionale e internazionale sino a oggi, nonostante i ripetuti tentativi di svuotarla come si tenta di fare anche in questa fase di sommersione delle mafie ancorché indebolite dall’azione repressiva e dalla crescita del ripudio sociale. Esse tentano di radicarsi in nuove aree dell’Italia e del mondo sparando di meno e corrompendo di più, sfruttando la crisi pandemica, la globalizzazione e sperando di utilizzare anche la ricrescita economica che si prefigura col contenimento della pandemia. Sfugge a molti, anche a sinistra, che lo straordinario boom economico del dopo guerra è stato accompagnato anche dalla crescita del sistema politico mafioso. Senza ritenere la storia d’Italia storia di mafia, è un errore ignorare il condizionamento che questa ha esercitato, con la complicità di parte della classe dirigente, sullo sviluppo del Paese e la vita democratica del Paese.
La mafia, le mafie sono presenti nella storia del Potere di ieri e di oggi sapendosi adeguare ai mutamenti economici-sociali-politici.
È bene, dunque, che il movimento antimafia che ha contrastato nelle varie fasi storiche le mafie, si mobiliti per allertare la Politica distratta e smascherare quella ipocrita e collusa.
Ciò è necessario per impedire alle nuove mafie di approfittare della ricrescita post Covid per sottrarre ricchezza alla società e condizionare la vita democratica.
Dunque Priorità politica alla lotta contro le mafie, diciamo al Governo Draghi e a tutte le forza politiche!