“Riaffermiamo il principio secondo cui una guerra nucleare non può essere vinta e non deve essere mai combattuta” Questa dichiarazione comune probabilmente è il principale aspetto positivo del vertice di Ginevra fra Biden e Putin. Assieme al ritorno degli ambasciatori, la stabilizzazione del confronto strategico nucleare, con l’annuncio di Biden della volontà di rinnovare per 5 anni New Start, l’accordo di dissuasione sulle armi strategiche, rappresenta una frenata del processo di guerra fredda a cui lo stesso Biden aveva dato un rinnovato impulso dopo il suo avvento alla Casa Bianca. Forse è stato superato il punto più basso nelle relazioni fra Russia e Stati Uniti ma non ci sono state svolte significative ed i dossier più spinosi, come l’Ucraina, restano irrisolti, come restano irrisolte le principali questioni internazionali per le quali la collaborazione fra Russia e Stati Uniti sarebbe auspicabile per ristabilire un ordine internazionale pacifico.
Con l’incontro di Ginevra si è conclusa una settimana di straordinario attivismo di Biden in Europa iniziata con il vertice del G7 in Cornovaglia, conclusosi il 13 giugno, passando per il summit della NATO, il 14 giugno, e l’incontro con la Commissione Europea il 15 giugno. In questa girandola di incontri e di questioni discusse fra i principali attori della scena internazionale, l’unica notizia positiva per l’Europa è la fine della guerra commerciale giocatesi intorno alla vicenda Airbus-Boeing. A Bruxelles è stata comunicata la decisione dell’amministrazione americana di sospendere per cinque anni i dazi punitivi che Trump aveva inflitto all’Unione Europea, che – a sua volta – aveva reagito con altri dazi. Nell’intento di contenere l’avanzata commerciale della Cina, gli Stati Uniti si sono resi conto dell’inopportunità di punire i loro alleati europei.
La vastità delle questioni messe sul tappeto dai vertici del G7, della NATO e di Ginevra, dalla questione dei vaccini, all’ esigenza di ricostruzione di un mondo migliore dopo la Pandemia, alla lotta ai cambiamenti climatici e alla risposta alle ipotizzate minacce, militari e non, della Russia e della Cina, impone un approfondimento tematico sui singoli argomenti che non può essere effettuato in questa sede. La Costituzione italiana ci ha dato una bussola per orientarci nel nostro rapporto con il resto del mondo, stabilendo che l’asse delle relazioni internazionali deve essere orientato alla costruzione della giustizia (fra le Nazioni) e della pace. Se utilizziamo queste categorie per valutare nel loro complesso gli esiti di questi incontri non possiamo che rimanere delusi. Da questo punto di vista quello che ci colpisce di più è l’uso spregiudicato della retorica dei diritti umani e i falsi peana alle regole dello Stato di diritto. Nei lavori del G7, ma soprattutto nel summit della NATO è stata rilanciata la favola delle Democrazie (identificate nei paesi occidentali e e nei loro alleati) che intensificano la loro cooperazione per contenere le Dittature (identificate nella Russia e nella Cina), a difesa dei diritti e delle regole dello Stato di diritto. Nella dichiarazione finale del summit NATO al punto 2 si sottolinea che i Paesi membri del Consiglio atlantico, oltre ad avere assicurato la sicurezza e la libertà ad un miliardo di persone “condividono gli stessi valori, che includono la libertà individuale, i diritti umani, la democrazia e i principi dello Stato di diritto”. Sarebbe curioso capire come fa la Turchia, che ha le carceri piene di perseguitati politici, inclusi giornalisti, magistrati ed avvocati, a condividere questi valori e come ha fatto il Presidente Draghi, dopo aver qualificato “dittatore” Erdogan ad accettare la finzione di includere la Turchia nel contesto delle democrazie impegnate a difendere i presunti valori dell’Occidente contro le dittature. Proseguendo in questa finzione, Biden ha gettato la sua spada sul piatto di una plateale difesa della vita e della libertà di Navalny. Peccato che nello stesso giorno in cui si rivendicavano i diritti di un oppositore russo, è stata resa nota l’esecuzione a Ryad della condanna a morte del giovanissimo Mustafa Darwish, arrestato a 17 anni per aver partecipato da una manifestazione di protesta contro il regime Saudita, senza che nessuna democrazia occidentale abbia battuto ciglio. In realtà l’uso pretestuoso dei diritti umani per legittimare una politica di supremazia non è un’invenzione degli Stati Uniti, risale a Napoleone. Dopo aver sconfitto le truppe dello Stato pontificio, Napoleone Bonaparte concluse il 19 febbraio 1797 un trattato di pace con i plenipotenziari di Papa Pio VI. Con il trattato di Tolentino Napoleone impose al papato la cessione del territorio della Romagna, la consegna di numerose opere d’arte ed il pagamento di una somma di 15 milioni di lire tornesi. Il trattato conteneva, inoltre, una clausola sui diritti umani: l’art. 19 imponeva al papato di rimettere in libertà coloro che fossero “detenuti a motivo delle loro opinioni politiche”.
Purtroppo quando gli Stati Uniti alzano nei confronti degli avversari la bandiera dei diritti umani, non è la causa della libertà che stanno servendo ma quella della supremazia.