Per Giovanni Falcone l’omicidio di Piersanti Mattarella fu commesso da neofascisti su input della mafia e per interessi politici. Dopo oltre quarant’anni purtroppo non sappiamo ancora chi ha sparato al presidente della Regione Sicilia. Abbiamo maturato nel tempo una nostra teoria, anche se di essa non abbiamo prove. È nostra opinione che lo stretto rapporto tra Aldo Moro e Piersanti Mattarella potrebbe essere un fattore scatenante da considerare nella ricostruzione di un omicidio così eccellente e perfetto nella sua esecuzione. Piersanti Mattarella era l’erede naturale di Aldo Moro. Avrebbe potuto portare a termine, dopo l’uccisione di Moro nel 1978, il suo progetto se non fosse intervenuta, anche per lui, la mano assassina a interromperne tale percorso. Moro nel quadro politico del partito dei cattolici italiani – la Democrazia Cristiana – fu da subito orientato in una direzione di reale lotta alla mafia. Il legame politico fra Moro e Mattarella divenne sempre più forte e irreversibile proprio su questo tema.
Piersanti Mattarella cercò un confronto, serio e profondo con il PCI e con la “questione comunista”, soprattutto nella Sicilia dell’antimafia, quella di Pio La Torre e di tanti altri giovani comunisti apertamente schierati contro la criminalità organizzata. Costruire insieme al PCI un’antimafia politica in grado di essere autonoma e indipendente (anche in termini di voti in Parlamento) poteva rappresentare (e avrebbe rappresentato) una fase decisiva nella lotta alla mafia in Italia e in Sicilia. Mattarella vuole costruire con sempre maggior vigore e convinzione una nuova area politica dell’antimafia dei fatti e non più solo delle parole. Quando in un suo famoso discorso affermerà: “Occorre liberare la DC dall’arroganza o anche dalla semplice ansia del potere, ripristinando a pieno il nostro senso dello Stato, il rispetto della cosa pubblica” appare chiaro il suo intento politico. Mattarella diventa immediatamente l’«homo novus» della DC siciliana. Il giovane leader ha una visione moderna della politica regionale e delle sue istituzioni, coerente con un grande progetto nazionale e aperto al più vasto orizzonte europeo.
Via il clientelismo e le mafie dalle istituzioni pubbliche. Una speranza e un messaggio straordinari ma al tempo stesso pericolosissimi sia per gli interessi della mafia, sia per la vecchia guardia democristiana con essa collusa. Con lui in vita, ci sarebbero stati tutti i presupposti per una rinascita di legalità nella Sicilia delle contiguità e delle complicità con la mafia. La mia teoria – che resta tale sia chiaro – è quella per cui proprio perché era così determinato nel suo progetto la sua eliminazione fu al centro di una convergenza d’interessi criminali e di natura politica e per questa fu barbaramente assassinato. Questa, ovviamente, è soltanto la mia modesta convinzione che – può sembrare apodittica – credo abbia tuttavia più di qualche fondamento logico e probabilmente è anche coerente con la realtà degli accadimenti di quel periodo storico. In questa chiave di lettura il delitto Mattarella segna la storia siciliana ma traccia anche quella italiana. È sicuramente una pesante sconfitta dello Stato. Falcone anni dopo dirà che in Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere. Proprio su questa frase connessa al delitto Mattarella una domanda è d’obbligo: perché dopo oltre quarant’anni ci sono ancora tante ombre, molte oscurità e parecchie complicità non ancora pienamente chiarite? Ai posteri l’ardua sentenza!
Vincenzo Musacchio, giurista e docente di diritto penale, è associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). E’ ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. E’ stato allievo di Giuliano Vassalli e amico e collaboratore di Antonino Caponnetto.