Guglielmo Epifani l’ho conosciuto, stimato, contrastato e talvolta anche fortemente avversato, ad esempio quando ero convinto che la scissione, poi effettivamente avvenuta nel febbraio del 2017, dovesse essere compiuta prima, molto prima. A tal proposito, ricordo ancora il giorno in cui venne presentato Articolo Uno a Roma, al Tempio di Wdriano. Era il 22 marzo 2017 e l’assemblea si svolgeva a poche ore dalla scomparsa di Alfredo Reichlin: un dolore enorme per la nostra comunità. Ricordo che arrivai combattivo e parlai a lungo, sicuramente troppo, fra gli altri con l’amico Stefano di Traglia, l’ex portavoce di Bersani, il quale mi ascoltava, ribatteva e mi dava modo di andare giù dritto come una spada, sfogando tre anni di delusioni, frustrazioni e vere e proprie sofferenze, peraltro comuni a tutti i presenti. A un tratto si voltò, con sguardo sornione, Epifani e mi fece: “Però non puoi dirla così”. Mi spiegò con calma, pacatezza e buonsenso le ragioni della mancata scissione dopo provvedimenti sbagliati e deleteri come il Jobs Act e la Buona scuola e no, non mi convinse. Tuttavia, mi fece comprendere il valore della mediazione, del dialogo, della pazienza e della calma. La pacatezza di un sindacalista che aveva attraversato stagioni tremende, la forza d’animo di uno dei protagonisti della grande manifestazione del Circo Massimo, la grinta moderata e gentile di un galantuomo che era rimasto fedele al partito che lo aveva eletto anche quando tutte le leggi che il PD stava varando erano pericolose e lesive dell’unità interna e della tenuta sociale del Paese: questo era Epifani.
La stessa gentilezza, modestia e saggezza l’avrei riscontrata qualche mese dopo in Vasco Ertani: anche con lui ebbi un confronto forte, intenso, significativo, una lezione di umanità e di vita. Ed è bello poter dire che a ventisette anni ho avuto l’onore di incontrare dirigenti navigatissimi che non hanno ritenuto superfluo confrontarsi con un ragazzo, che lo hanno ascoltato, che ne hanno subito le critiche e gli hanno fornito utili consigli. È bello poter dire che Epifani è stato una parte importante della mia vita e della mia passione politica: dalle manifestazioni della CGIL al giorno in cui venne eletto segretario del PD, in un non luogo, in un’atmosfera surreale, dopo lo scempio dei centouno e quando ormai era chiaro che il PD si fosse già consegnato, senza opporre alcuna resistenza, renzismo.
Epifani ha affrontato la sfida della segreteria con spirito di servizio, accompagnando ordinatamente il partito a quello che, di fatto, sarebbe stato il suo congresso di scioglimento, prima di diventare altro e condurre molti di noi altrove o, addirittura, fuori dalla politica.
Per tutta la vita è stato un soldato, mai privo di fantasia. Ha traghettato la CGIL negli anni del berlusconismo e della crisi economica, ha sostenuto la candidatura di Marini alla Presidenza della Repubblica (e anche quella volta non fui d’accordo perché io avrei preferito Prodi o Rodotà, benché il punto fosse che quell’assemblea, per dirla con Bersani, avrebbe “segato anche papa Francesco”), si è fatto carico dei giorni della disfatta e ha parlato per tutti quando la scissione era ormai diventata inevitabile.
È stato un uomo del lavoro, fino all’ultimo in piazza in difesa degli operai, degli ultimi, dei deboli. Ci ha detto addio a soli settantun anni, lasciando in noi il rimpianto per le innumerevoli battaglie che abbiamo di fronte e che da adesso in poi dovranno essere portate avanti senza poter contare sulla sua capacità di pronunciare sempre le parole giuste al momento opportuno.
Iscriviti alla Newsletter di Articolo21