È la legge bellezza, mi dicono. Sono scossa, incredula, infastidita. Ho appena letto la notizia della scarcerazione di Giovanni Brusca. Il mafioso. Quello che a suo dire ha ucciso più di cento persone, ma sicuro meno di duecento. L’assassino, il criminale, il braccio destro di Totò Riina. Catturato nel 1996 è l’autore della strage di Capaci che giusto pochi giorni fa celebravamo, quel 23 maggio diventata giornata della legalità. Lui che, come se non bastasse, è anche autore di uno dei crimini più efferati compiuti da Cosa nostra, di quelli che disgustano e fanno sempre arrabbiare l’opinione pubblica. Come un bravo soldato ha sequestrato, ucciso e sciolto nell’acido il piccolo Giuseppe Di Matteo. Questo è l’uomo che nel giugno 2021 la giustizia italiana ha lasciato libero ritenendolo forse sempre colpevole ma un po’ meno. Dopotutto ha scontato i suoi 25 anni di carcere, tra permessi premio e sconti di pena e alla fine, con quarantacinque giorni d’anticipo sulla data del rilascio, il 31 maggio ha lasciato Rebibbia. Da uomo libero, non da evaso. Da uomo con alle spalle poco meno di duecento omicidi. La vita di Rocco Chinnici, Giuseppe Di Matteo, Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, Vito Schifani più altre cento persone, è valsa a Brusca una condanna per soli 25 anni di carcere. All’inizio erano trenta e in ballo c’era anche l’ergastolo, ma lui si è pentito, ha chiesto scusa, e la Legge gli ha commutato la pena. Anche la Costituzione, con buona pace della Corte di Strasburgo che più volte ha ritenuto degradante il 41-bis, alla fine gli ha dato ragione: l’articolo 27 ne tutela infatti l’umanità, il trattamento e lo vuole persino rieducato.
E così Brusca esce. D’ora in avanti e per quattro anni, come ha anticipato L’Espresso e come ha disposto la Corte di Appello di Milano, sarà sottoposto a protezione e libertà vigilata. Da uomo libero lo Scannacristiani cosiddetto potrà andare a prendere un caffè e volendo a suo rischio e pericolo, anche se la Cassazione nel 2019 aveva respinto la possibilità dei domiciliari perché “il pentimento civile [andava] approfondito e verificato nel tempo”, potrà riallacciare gli antichi rapporti con le famiglie siciliane.
Eppure tutto è sacrosanto, l’ordinamento giuridico non riformato lo permette e ciò va accettato, seppure con indignazione e sgomento. Brusca ha pagato a caro prezzo la sua libertà: collaborando con la giustizia è diventato nemico dei suoi stessi fratelli ma la percezione che hanno i parenti delle vittime che di libertà non possono più parlare è che sia lo Stato ad essergli stato amico, con la paura che possa riaccadere, che qualcun altro possa saltare in aria, che i legami di sangue non siano veramente spezzati. La paura di chi, guidato da uno spiccato senso del dovere ogni giorno e non sempre tutelato, trova il coraggio per denunciare questa criminalità aguzzina. Anche oggi che non possiamo più chiamare Giovanni Brusca assassino, perché è stato liberato e gode di tutti i diritti.