Francesco Marchesi ha curato l’edizione italiana di Imperialismo e altri scritti sulla storia, una raccolta di testi che Louis Althusser non ha mai dato alle stampe. Scritti che affrontano svariati temi, che vanno dalla storia della critica letteraria all’analisi dell’imperialismo – definito da Lenin come l’ultimo stadio del capitalismo. E sono proprio le considerazioni relative alla struttura e alla storia del capitalismo che maggiormente attraggono l’attenzione del lettore, per la loro estrema quanto straordinaria attualità.
Per Althusser, il periodo in cui ha vissuto era l’imperialismo, ovvero lo «stadio culminante» del capitalismo, secondo l’analisi di Lenin. Il suo ultimo stadio, ovvero il suo punto culminante. Dunque, se l’imperialismo fosse perdurato, non poteva che esserci decadenza. Degenerazione. Barbarie. Tranne se si fosse passati al socialismo.
Caratteristica peculiare del periodo analizzato da Althusser, ovvero gli inizi della seconda metà del Novecento, sono le lotte della classe operaia. Lotte per la rivendicazione dei propri diritti, costantemente calpestati in nome del profitto e dell’accumulo di capitale. Lotte contro lo sfruttamento. Lotte inutili per Althusser in quanto è sua ferma convinzione che la classe capitalistica non mollerà mai la sua preda. Non smetterà mai di sfruttarla, di opprimerla, di intimidirla anche con il ricatto ideologico.
Le lotte della classe operaia raccontate da Louis Althusser ricordano, nei contenuti, quelle più di recente iniziate e portate avanti dalla classe media in tanti paesi occidentali, ovvero in tutte o quasi le potenze del vecchio e del nuovo mondo.
Per Elizabeth Warren, già docente di diritto commerciale ad Harvard poi senatrice del Massachusetts, l’America ha costruito il più grande ceto medio che il mondo abbia mai conosciuto e lo hanno fatto gli stessi americani, con il duro lavoro e il supporto di politiche governative volte a creare maggiori opportunità per milioni di persone. Utilizzando tutti i mezzi possibili: politiche fiscali, investimenti nell’istruzione pubblica, nuove infrastrutture, sostegno alla ricerca, regole di protezione per i consumatori e gli investitori, leggi antitrust. Ma ora tutta le gente è, giustamente, preoccupata. Preoccupata e arrabbiata.
Lo è perché, nonostante «si ammazzi di lavoro», non vede praticamente crescere il suo reddito. Le spese per la casa e l’assistenza sanitaria erodono quasi completamente il suo bilancio. Pagare l’asilo o l’università dei figli è diventato impossibile. Gli accordi commerciali sembrano creare posti di lavoro e opportunità per la manodopera in altre parti mondo, lasciando le fabbriche in territorio americano abbandonate. I giovani sono strozzati dai prestiti studenteschi, la forza lavoro è fortemente indebitata e per gli anziani la sicurezza sociale non riesce a coprire le spese della vita di tutti i giorni1.
Incertezza economica, alti tassi di disoccupazione, soprattutto giovanile, scarse politiche di welfare e istruzione… sono tutti problemi presenti e visibili anche in Italia. Michel Martone, ordinario di diritto del lavoro e relazioni industriali alla Sapienza, si chiede come sia possibile che, nell’Italia del terzo millennio:
- Un giovane studente per mantenersi all’Università recapiti pizze a domicilio, magari in bicicletta e sotto la pioggia, per un compenso che a malapena sfiora i 3.5euro a consegna.
- Un operaio pur lavorando a tempo pieno non riesca più, nell’arco di una vita, a mettere da parte quanto necessario ad acquistare una casa.
- I pubblici dipendenti abbiano dovuto subire un blocco della contrattazione collettiva, e quindi degli stipendi, durato oltre sette anni.
- Un immigrato che raccoglie pomodori guadagni poco più di 2euro l’ora.
- Una coppia di trentenni non possa permettersi, sommando gli stipendi, di mantenere più di un figlio.
- Negli ultimi 10 anni oltre 244mila giovani, di cui il 64per cento con titolo di studio medio-alto, abbiano abbandonato il Paese e a questo fenomeno migratorio non venga dato il giusto risalto.
Questa resiliente crisi economica rischia di inghiottire per intero tutto il ceto medio, in particolare quelle professionalità mediane svolte in larga misura da trentenni le cui retribuzioni hanno risentito più di tutte gli effetti della crisi. Basti ricordare il numero sempre crescente dei cosiddetti working poor, ovvero coloro che, pur lavorando, non riescono ad arrivare alla fine del mese. Martone afferma di essere consapevole si tratti di una verità scomoda e difficile da affrontare, che richiede impegno e soluzioni complesse, ma che non per questo debba continuare a essere rimandata, ignorata, sminuita. Gran parte dei partiti politici semplicemente hanno cercato di rimuoverla, scaricando sugli immigrati, i mercati finanziari o l’Europa le colpe della crescente incertezza che ormai si diffonde tra i lavoratori italiani. Anche peggiori, forse, Martone ritiene gli interventi posti in essere con l’intento dichiarato di migliorare la situazione ma che sottrarranno ulteriori risorse economiche all’emergenza retributiva. In particolare egli fa riferimento a quota100 e reddito di cittadinanza.
Suggerisce poi egli stesso delle idee che potrebbero essere poste alla base di una possibile riforma del sistema retributivo che:
- Assuma il trattamento economico minimo previsto dal contratto collettivo più rappresentativo a parametro della giusta retribuzione per tutto il settore, secondo il modello già considerato costituzionalmente legittimo per quello delle cooperative.
- Recepisca per via legislativa il sistema delineato nel Testo unico sulla rappresentanza del 2014, per misurare all’interno dei perimetri di efficacia della contrattazione collettiva la capacità rappresentativa delle diverse organizzazioni sindacali, delle imprese come dei lavoratori, secondo lo schema di recente proposto dal d.d.l. 788/2018.
- Perimetri i settori di efficacia della contrattazione collettiva nazionale, quanto meno in materia salariale.
- Recuperi, pur con tutti i necessari adattamenti, il modello disciplinato dall’art. 2070 c.c., al fine di consentire alla giurisprudenza di presidiare quei perimetri scongiurando la concorrenza tra imprese sul costo del lavoro.
- Strutturi la contrattazione collettiva, potenziando, sulla scorta del modello del decentramento organizzato, quella di secondo livello, anche in deroga alla legge, al fine di evitare che le tensioni al ribasso sul costo del lavoro, ad esempio determinate dall’esplosione delle crisi aziendali, rifluiscano su quella nazionale.
- Introduca un salario minimo orario, attorno ai nove euro, che funzioni sia da pavimento per la contrattazione collettiva che da parametro applicabile nei settori in cui quest’ultima non dispiega i propri effetti.
- Preveda che tale soglia minima sia derogabile (opting out) in determinati settori economici.
- Riduca il cuneo fiscale che grava sulle retribuzioni al fine di dare sollievo a quella classe media che, con il proprio lavoro, ha dovuto sopportare il peso di una crisi economica che ha reso insostenibile il terzo debito pubblico del mondo. 2
Il capitalismo che, secondo Marx, come un vampiro si è cibato del lavoro degli operai è poi passato a cibarsi anche dei redditi, dei comportamenti e dei diritti della classe media perché, secondo Shoshana Zuboff, docente alla Harvard Business School, esso si evolve in risposta ai bisogni delle persone in un tempo e in un luogo determinati.3
Le degenerazioni di cui parlava Althusser sono diventati quindi, nell’analisi di Zuboff, degli adattamenti che consentono al capitalismo di mutare forma e plasmarsi in base ai tempi senza mai perdere di vista il suo obiettivo ultimo: l’accumulo di capitale. E i capitalisti di oggi sono andati anche oltre ogni immaginazione. Perché il loro cibo non è più solo il lavoro ma ogni aspetto della vita umana. E questo è ciò che Shoshana Zuboff ha definito capitalismo della sorveglianza. In esso, i mezzi di produzione sono al servizio dei mezzi di modifica del comportamento. Il vero potere infatti risiede nella capacità di modificare le azioni in tempo reale nel mondo reale.
Sottolinea Althusser nei suoi scritti che, contrariamente a quanto affermavano Hegel, Engels e Stalin, ma conformemente a quanto pensava Marx, non si sono leggi della storia. Ma il fatto che non ci siano leggi non significa che non possano esserci delle lezioni della storia. Lezioni che sono però aleatorie, in quanto la stessa situazione, la stessa congiuntura e lo stesso “caso” mai si ripresenteranno perfettamente uguali. Molto simili però sì. Studiare la storia, apprendere e ricordare le sue lezioni può quindi tornare molto utile allorquando si cerca, si può e si deve modellare il presente per costruire il futuro.
Bibliografia di riferimento
Louis Althusser, L’imperialismo e altri scritti sulla storia, Francesco Marchesi (a cura di), Mimesis, Sesto San Giovanni – Milano, 2020.
Titolo originale: Écrits sur l’histoire. Traduzione di Francesco Marchesi e Maria Turchetto.
1Elizabeth Warren, Questa lotta è la nostra lotta, Garzanti, Milano, 2020.
2Michel Martone, A che prezzo. L’emergenza retributiva tra riforma della contrattazione collettiva e salario minimo legale, Luiss University Press, Roma, 2019.
3Shoshana Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri, Luiss University Press, Roma, 2019.