Lucas Villa, studente universitario di 23 anni, regalava fiori alle forze dell’ordine in tenuta anti sommossa per pacificar gli animi della legittima protesta sociale; viene ucciso da un’arma sparata da un’auto in corsa nel viadotto di Pereira il 5 maggio scorso.
Daniela Soto, 19 anni, studente di filosofia all’Universitá del Cauca, leader del popolo Nasa, é sopravissuta a due operazioni chirurgiche che l’hanno salvata dopo il ferimento da parte della polizia statale in Cali, mentre accompagnava la guardia indigena, una forma di interposizione non-violenta ancestrale durante le marce di migliaia di giovani a Siloé, all’entrata della grande baraccopoli di Aguablanca in Cali (Sud Colombia).
Lucas e Daniela sono due storie simboliche dell’indignazione colombiana dopo 50 giorni di paro (sciopero) nazionale, represso dal terrore statale che ha provocato 60 giovani assessinati, oltre 100 desaparecidos (scomparsi), persecuzione a stampa e difensori diritti umani, oltre 4.200 abusi della polizia secondo ONG Temblores, uso indiscriminato della forza pubblica che spara gas lacrimogeni anche nei condomini popolari attorno alle 7.000 manifestazioni che continuano in maggioranza come protesta pacifica, anche con centinaia di blocchi stradali.
Notte di violenze anche il 5 giugno, 68 feriti solo al Portal de las Americas, vicino al mercato di frutta di Corabastos, Sud Bogotá, dove la fiscalia insieme al (allora) Procuratore nazionale Piero Grasso, avevano scoperto un sommergibile pronto per essere assemblato per trasportare quintali di coca in Italia, attraverso il monopolio della ‘ndrangheta.
Mentre tra le viuzze delle case popolari di Alameda 2, la gente esce con lenzuoli bianchi per raccogliere un ferito- visto che la polizia spara anche sulle missioni mediche -, ESMAD (forze anti-sommossa) lancia gas lacrimogeni mentre sta finendo la visita di alcuni magistrati della Commissione Interamericana dei Diritti Umani CIDH di Washington, che stanno ascoltando le proposte delle organizzazioni sociali locali che da 50 giorni realizzano assemblee, mense comunitarie, laboratori di arte e musica, sfidando la morte.
Proprio durante la visita di 4 giorni della CIDH all’ hotel Tequendama di Bogotá si sono preséntate 2000 vittime colombiane del conflitto armato per farsi ascoltare dalla Commissione CIDH per le violazioni sistematiche dei diritti umani durante lo sciopero piu’ lungo della storia recente in Colombia dopo quello del 1977.
Manuel Fernandez, 62 anni, afro vittima del exterminio dell’Unione Patriotica UP (genocidio di 3000 lider di sinistra negli anni 70-80) in Barrancavermeja, attivista del movimento di vittime Movice, spiega a Articolo 21:
“i Comisionados CIDH hanno ascoltato a Bogota la preocupazione del pueblo della repressione dell’ ESMAD e polizia, si parla di centinaia di desaparecidos, alcuni comparsi flotando nel fiume Pance a Cali, si parla di narcotrafficanti al servizio dello stato, civili armati, che si chiamano Aguilas negras e fanno guerra sucia (sporca), continua la persecuzione a lideres sociales – ben mille lider uccisi dalla firma degli accordi di pace con la (ex) guerriglia della Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia FARC (oggi partito politico con 10 parlamentari) del 2016. Ritorna la militarizzazione della societá, operazioni militari di gran scala sopratutto nelle periferie come Cali e Bogota, che non si arrendono alla paramilitarizzazione urbana che vari settori opposizione considerano sia il disegno di Duque, come denunciato dal senatore Ivan Cepeda (alleato di LIBERA fin dai tempi dell’Osservatorio LIBERANDE del 2008-finanziato dalla Provincia di Milano), in una nuova comunicazione alla Corte Penale Internazionale.
Ho chiesto direttamente alla CIDH, que intervenga urgentemente per fermare il Presidente Duque, che é il diretto responsabile di questo massacro di studenti, operai, giovani, maestre. La situazione sta degenerando gravemente, é una falsa democrazia senza controllo, diventa un Narcostato, non ci sono garanzie costituzionali per la protesta legittima, la comunita internazionale non puo tollereare un narcoestato nel secolo XXI”, conclude Fernandez.
Ho accompagnato come osservatore internazionale un gruppo di donne e bambini della guardia indigena a Bogotá, correndo con la lunghissima bandiera rosso-verde mentre l’arrivo di decine di moto con poliziotti e le forze antisommossa ESMAD con scudi, manganelli e fucili, spinse questo gruppo di manifestanti a rientrare subito nella sede del CRIC, sotto l’Universita’ Externado, per prevenire aggressioni.
”Perché ci assessinate se noi giovani siamo il futuro dell’America Latina”, slogan ricorrente di moltitudinarie marce che dopo 50 giorni hanno fatto cadere la riforma tributaria, un progetto neoliberale nella capitale latinoamericana delle diseguaglianze, e hanno provocato le dimissioni della ministra degli esteri Blum e anche del ministro de Hacienda, Carrasquilla.
Nel telegiornale di giovedi 27 maggio, il Ministro della difesa, Molano, annuncia che riesce a ottenere il voto di 69 dei senatori per impedire la sua destituzione, come chiesto da opposizione, mostrando la mano dura per sbloccare Cali (epicentro delle proteste a livello nazionale), criticando Russia e Venezuela per promuovere il caos dei “vandali”, mantenendo quella logica guerrafondaia di nemico-terrorista, dopo 50 anni di conflitto armato interno.
In realtá i mass-media internazionali sono le uniche voci critiche, (come El País-Madrid e France24- Parigi, Sir-Vaticano), che documentano le realta dei diritti umani, dando visibilitá alle vittime delle aggressioni sistematiche della polizia, al lavoro indispensabile degli organismi locali dei diritti umani e della stampa alternativa, e dell’impegno della Chiesa cattolica locale come in Cali che sta svolgendo un ruolo profetico con Arcivescovo Monsalve di costruire riconciliazione e dialogo in mezzo all’oscura violenza quotidiana, sfidando il razzismo, denunciato anche da realtá italiane come CIPSI, Millenia, Osservatorio Selvas, Comunitá Papa giovanni 23 APG.
Loris Palazzolo, Presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni, ha denunciato l’uso dei lanciagas e lanciarazzi Venom, nel tetto dei blindati antisommossa – una strategia di guerra urbana intollerabile – affermando que “È un’arma da guerra della spagnola Vimad Global Service, partner di Leonardo, impresa italiana partecipata dallo Stato. Di nuovo le armi Made in Europe vengono utilizzate per la repressione dei diritti civili. Basta!”.
I padroni della guerra sono ritornati all’attacco il 15 giugno con un’auto bomba esplosa dentro la base militare di Cucuta (frontiera con Venezuela), con 57 feriti, tra cui anche marines statunitensi, impiegati in un’operazione contro il narcotraffico nel paese andino maggior produttore mondiale di cocaina.
La militarizzazione continua, la war on drugs non scalfisce il potere delle mafie globali, bisogna fermare il mercato delle armi come le armi antidisturbi Venom: é una responsabilitá anche italiana.
*Cristiano Morsolin, esperto di diritti umani in America Latina dove vive dal 2001