Dal 28 aprile il popolo colombiano è in sciopero generale. La gente è scesa in piazza dopo che il governo aveva predisposto quattro riforme generali: fiscale, sanitaria, del lavoro e in materia pensionistica. La riforma fiscale è quella contro la quale si è inizialmente scagliata la popolazione ed è stata prontamente ritirata. Con il passare dei giorni, nonostante l’esecutivo abbia fatto un passo indietro su tutte le proposte di riforma, le manifestazioni pacifiche non si sono fermate, anzi hanno raccolto la solidarietà internazionale e molti colombiani che vivono in giro per il mondo hanno organizzato una serie di eventi per far conoscere quanto sta accadendo nel loro Paese. La reazione del governo e delle istituzioni colombiane è stata durissima. Secondo il 16 bollettino, pubblicato il 2 giugno 2021, da Defender la libertad, dopo 36 giorni di sciopero il bilancio è di 76 omicidi, 988 persone ferite da parte della polizia e in particolare dall’ESMAD (la squadra mobile antisommossa),151 difensori di diritti umani aggrediti,481 donne sono state vittima di violenza da parte della polizia, 87 persone sono state vittime di violenza di genere in particolare molestie sessuali o stupro, 2.395 persone sono state detenute, la maggior parte in modo arbitrario, 20 raid di cui 8 sono stati già dichiarati illegali. 1273 denunce per abuso di potere e 346 persone risultano attualmente scomparse, desaparecidos.
Le riforme sono solamente la goccia che ha fatto traboccare il vaso ed è per questa ragione che el paro no para, lo sciopero non si ferma. Il malcontento trova le proprie radici in una povertà che a causa della gestione della pandemia è aumentata fino a raggiungere il 42,5 della popolazione (dati DANE) e nel fatto che i giovani si sono resi conto che non hanno la possibilità di avere un futuro degno finchè resterà un’oligarchia al comando della cosa pubblica.
Chi documenta quanto sta accadendo rischia in prima persona: “abbiamo bisogno di giubbotti antiproiettile, caschi buoni e maschere” è l’appello di Simone Bruno, un giornalista italiano che da anni vive in Colombia e racconta le violenze dello Stato contro la popolazione civile.
Il 1 giugno il fotografo Jesus Abad Colorado ha diffuso una lettera aperta sottoscritta da giornalisti e reporter nella quale denunciano di essere in costante pericolo e chiedono rispetto per il giornalismo. Secondo FLIP, la fondazione per la libertà di stampa, sono stati aggrediti 179 giornalisti sia dalla forza pubblica che da civili armati che, dopo aver sparato contro i manifestanti, minacciano i giornalisti davanti la polizia nazionale. Oltre alla repressione il governo ha scelto la negazione e la riscrittura dei fatti. Il Presidente Duque, la vice Presidente Ramirez de Rincon e l’ambasciatrice colombiana in Italia Ramirez Rios hanno asserito che coloro che stanno manifestando sono fomentati ed infiltrati da presunti terroristi appartenenti ai gruppi guerriglieri delle ex Farc o delle ELN. Con questa argomentazione hanno negato la visita della Commissione interamericana dei diritti umani che aveva chiesto di poter fare una missione nel Paese per valutare il rispetto dei diritti umani nel contesto dello sciopero nazionale ed hanno negato l’ingresso a Juan Grabios, esponente del Dicastero del vaticano per il servizio dello Sviluppo Umano integrale.
L’attenzione internazionale alle vicende ha successivamente convinto il governo ad accettare la visita della Commissione (che il 26 maggio ha condannato le gravi violazioni dei diritti umani e chiesto al governo di rispettare gli obblighi internazionali) mettendo però a punto un’agenda tutta istituzionale e governativa elencata dalla vice Presidente. Un Paese che si dichiara democratico ma nega la libertà di stampa e di manifestare, diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione colombiana, e che in continuità con l’era Uribe definisce terrorista chi si oppone a delle politiche che non hanno fatto altro che impoverire la popolazione e aumentare il divario tra chi detiene la ricchezza e chi sprofonda sempre di più nella povertà totale.