Il 14 maggio scorso Rula Jebreal, commentatrice politica di fama internazionale, rifiuta l’invito a partecipare alla trasmissione di La7 Propaganda Live. Jebreal, palestinese di nascita, è stata chiamata per parlare del conflitto in corso, dunque come esperta e ospite d’eccezione. Ma quando vede su Instagram la locandina di Propaganda, non regge al colpo d’occhio: è l’unica donna tra i componenti della puntata. “Con rammarico devo declinare l’invito – scrive – non partecipo a nessun evento che non implementi la parità”.
Segue una polemica social ferocissima, soprattutto per il tenore dei commenti su Jebreal, e una puntata di Propaganda Live inconsueta, perché introdotta da un monologo del conduttore Diego Bianchi. Il quale invece di cogliere abilmente il tema lanciato da Rula, spiega – termine mai come in questo caso significativo – “anche a Rula” perché con questa polemica la giornalista abbia preso un granchio. “Non conosce questa trasmissione, l’abbiamo capito una volta per tutte”, e aggiunge, mostrando il “Diversity award” vinto per la spinta verso l’inclusione, “l’idea qui è quella di chiamare a parlare donne o uomini perché competenti”. Per gli autori la competenza viene prima di tutto, tant’è che alla fine del conflitto israelo-palestinese parleranno il commentatore politico Marco Damilano e il giornalista satirico Michele Serra, che con la politica estera poco hanno a che fare. (link https://www.la7.it/
Il dibattito è proseguito durante la settimana, tra i fan di Zoro che gridavano alla lesa maestà, offesi che si potesse accusare di maschilismo l’unico vero spazio di informazione di sinistra in tv, e le attiviste femministe che ringraziavano Rula Jebreal per aver finalmente denudato il re: come nei partiti di sinistra, anche nei media di sinistra c’è un serio problema di rappresentanza femminile.
Perché è vero che il parterre di Propaganda include due ottime giornaliste, Francesca Schianchi de La Stampa e la corrispondente tedesca Constanze Reuscher, ma a nessuna delle due è affidato il ragionamento complesso, il momento da solista, lo spazio “spiegone” come quello di Marco Damilano. Vengono inquadrate spesso, soprattutto quando sorridono, e fanno di certo bene agli ascolti, ma per tutta la puntata si resta con la curiosità di sapere di più di cosa pensano, di sentirle intervenire più spesso. Francesca Schianchi avrebbe anche l’importante compito di aprire la puntata insieme a Zoro: batte le mani, non dice nulla, ma gli sta a fianco, in piedi, come la co-conduttrice che nei fatti non è.
Diciamolo, come molti altri, il programma non brilla per attenzione ai temi di genere. Lo dice pure il conduttore, è nato tra quattro amici, “tutti maschi”. E si vede. Gli autori sono uomini, il regista pure, lo “spiegone” lo fa Damilano. Le donne che lavorano sono sicuramente più di quelle che vediamo, ma stanno dietro le quinte.
Come insegna Nadia Somma sul Fatto Quotidiano citando l’osservatorio “Le donne contano”, secondo uno studio condotto a giugno 2020 le donne ospiti nei talk show sono il 32%, contro il 68% degli uomini. Propaganda Live nelle puntate del 6 e del 12 giugno 2020 ha ospitato metà delle donne rispetto agli uomini (13 uomini vs 7 donne e 40 uomini vs 21 donne).
Il problema esiste e Rula Jebreal ha fatto bene a sottolinearlo, ma la sua controparte non ha colto: una settimana dopo, altra puntata, stesso argomento, viene invitata come esperta di Medio Oriente la conduttrice di Al Jazeera UK Barbara Serra. In tre minuti dice la sua sulla polemica della settimana. È sottile il suo ragionamento, smonta tutte le argomentazioni di Zoro: vogliamo parlare di competenze? È scivoloso, perché bisogna sempre considerare da dove le persone partono. “Io vengo spesso invitata come esperta, ma le competenze me le sono potute formare perché ho vissuto all’estero, dove avuto vere opportunità”. In Italia, invece, l’accesso a certi ambienti o categorie è quasi impossibile. (Link https://www.la7.it/
Per il programma di La7 è la seconda occasione per ammettere di avere un problema, anzi, di essere parte del problema. E invece, ancora una volta, Diego Bianchi ha negato. Non il problema della rappresentanza femminile in sé, ma di averlo lui, questo problema. Secondo Zoro, il rischio sarebbe quello opposto, perché qualche volta lo squilibrio numerico è andato a sfavore degli uomini (e non sia mai, ndr).
A dargli manforte nella puntata di venerdì 21 è intervenuto anche Michele Santoro, che suo malgrado rappresenta emblematicamente la tv che Jebreal e Serra chiedono di innovare, e che si è lanciato in un ragionamento tortuoso, chiamando in causa la libertà dell’informazione dai condizionamenti politici: per Santoro fare una tv più equilibrata non mette al riparo dalle intromissioni del potere. (link https://www.la7.it/
Quello che Santoro, e Bianchi con lui, non capiscono, è che invece una tv attenta alla parità è proprio una tv più libera: è da sciocchi illudersi che la meritocrazia nei media stia funzionando, quando il 51% della popolazione è così scarsamente rappresentato. Se la metà degli italiani non esprime, non dico la metà ma quasi, delle voci autorevoli, tra autori, conduttori, registi e ideatori vari di contenuti, come possiamo credere che il meccanismo stia funzionando bene? È significativo che Diego Bianchi abbia ammesso di aver costruito il programma con i suoi amici. Come un salotto privato. Di sinistra, certo, ma questo non cancella le modalità, né i rischi. Se competenze e merito sono davvero l’unica cosa che conta, anche ai fini di un’informazione libera, creare spazi per voci diverse dalle solite non è solo utile, ma necessario.