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Un requiem tedesco, di Philip Kerr

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Un romanzo sapientemente orchestrato da un maestro del genere; ambientato in un’ atmosfera cupa, quella della Vienna del dopoguerra, in cui il sospetto, il senso di colpa e il doppio gioco erano gli elementi che hanno alimentato lo spirito della guerra fredda.

Con “Un requiem tedesco”, in libreria dal 27 maggio prossimo (15€,413pp) si conclude la pubblicazione, con Fazi editore, per la collana Darkside, della “Trilogia berlinese” di Philip Kerr.

Iniziata con “Violette di Marzo” – ambientato nella Berlino del ‘’36, alla vigilia della XI olimpiade -, proseguita con “Il criminale pallido” – siamo nel caldo estivo della Berlino del ’38, in cui si attendono gli esiti della Conferenza di Monaco, alla vigilia della II guerra mondiale – la trilogia si conclude, per l’appunto, con “Un Requiem tedesco” – siamo nell’aspro inverno del ’47, in cui i “Rossi” stringono sempre di più la città di Berlino in un abbraccio soffocante.

La “Trilogia berlinese”, del compianto Philip Kerr, rappresenta un grande classico del romanzo poliziesco di qualità; pubblicata una prima volta in Italia da Passigli Editore negli anni 1997, 1998 e 1999, è di nuovo nelle librerie grazie, appunto, a Fazi Editore.

Come dicevamo, “Un requiem tedesco” è ambientato sul finire del ’47, in un periodo in cui le due super potenze vincitrici del conflitto, USA e URSS, diedero vita ad una contrapposizione politica, ideologica e militare, senza precedenti. In quell’epoca Berlino appariva come un immenso monumento allo scempio della guerra, con le 75.000 tonnellate di esplosivo caduto sulla città: Una devastazione su scala wagneriana …. l’incendio finale di quel crepuscolo degli dèi.

Siamo a pochi mesi dallo “storico” discorso di Truman del 12 marzo del ’47 al Congresso Usa in cui venne annunciata la nuova dottrina, quella che va sotto il nome di “dottrinaTruman”, e cioè: il diritto/dovere degli Usa di intervenire ovunque nel mondo ove venisse minacciata la libertà. In pratica, un’invettiva contro quei regimi totalitari imposti ai “popoli liberi” nel secondo dopoguerra, attraverso aggressioni dirette o indirette, che rappresentavano una minaccia alla sicurezza degli Stati Uniti; un chiaro ed implicito, riferimento all’URSS. Era l’inizio della guerra fredda. Il comunismo era il nuovo nemico! Ma veniamo alla trama.

Al centro dell’intrigo troviamo, ancora una volta, lui: Bernard Gunther, l’investigatore privato, l’ex commissario della Kriminalpolizei (Kripo), il corpo di polizia della Germania nazista; un antieroe in perenne conflitto con se stesso, donnaiolo, dai modi sbrigativi, impulsivo, che questa volta viene ingaggiato da un ambiguo colonnello, tale Poroshin, un ufficiale del controspionaggio sovietico, un “rosso”, che gli propone di andare a Vienna, a fronte di un forte compenso in denaro (5000 dollari americani), in aiuto del suo ex collega della Kripo, Emil Becker, che rischia la forca in quanto accusato di aver ucciso un Capitano a stelle e strisce, un cacciatore di nazisti. Dopo un primo, immediato, diniego, forse a causa del passato nazista dell’ex collega, ecco che in Gunther torna ad affacciarsi la sua naturale, irrazionale, inclinazione ad accettare un incarico con la piena consapevolezza dei guai a cui sarebbe andato certamente incontro, sebbene temperate, questa volta, dall’enormità della somma di denaro promessagli in caso di riuscita. Tra l’altro, la fuga da Berlino rappresentava per Gunther, al momento, l’occasione per allontanarsi dalla bella moglie, colpevole di adulterio.

Ed è così che il nostro protagonista si troverà ben presto a Vienna, con un lasciapassare concessogli da Poroshin, alla ricerca di ogni possibile indizio che possa sottrarre il suo ex amico dal patibolo. Indagini queste che lo porteranno al centro di trame apparentemente inestricabili, circondato da ex nazisti braccati dai servizi di sicurezza sovietici ed americani e da belle donne disposte a vendersi; tutto ciò all’ombra delle più strane alleanze imbastite dai servizi di intelligence dei diversi Paesi per contrastare la “Minaccia Rossa”, e in cui il sospetto, il senso di colpa, il doppio gioco, erano la linfa ideale, lo spirito, che ha alimentato la guerra fredda: “.. sai l’altro giorno ho potuto dare un’occhiata a un rapporto che affermava che ben il due per mille degli austriaci operano come spie dei sovietici. Ora ci sono più di un milione e ottocentomila persone in questa città Gunther; il che vuol dire che se lo zio Sam ha altrettante spie quanto lo zio Iosif, ci sono più di settemila spie davanti alla mia porta”.

Un romanzo, anche questo, alla stregua dei due che l’ hanno preceduto, eccellente ed avvincente, dallo stile narrativo asciutto, ambientato in un contesto storicamente fedele, che non potrà non suscitare l’interesse degli amanti del genere, nonché l’ occasione per i meno giovani di rileggere un grande classico del poliziesco di qualità.

Da ultimo, facciamo nostro, un giudizio sull’autore e sul romanzo espresso sulle pagine del tabloid “The New York Observer”, riportato da Fazi Editore: «Philip Kerr è (“è stato” – ndr) il maestro contemporaneo del thriller con una complessità morale. Un requiem tedesco, ambientato principalmente nella Vienna del dopoguerra, ha un’affinità con Il terzo uomo di Graham Greene, ma – lo dico? – eguaglia o supera Greene (e il film di Carol Reed con Orson Welles) perché non rifugge dal substrato saturo di nazismo dell’ambiente viennese»


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