Guerra: di questo si tratta. Fra israeliani e palestinesi stiamo assistendo all’ennesima escalation di un conflitto che ebbe inizio il 15 maggio 1948 con la Nakba del popolo palestinese, di fatto scacciato dalla propria terra dall’azione militare promossa da David Ben Gurion, e che da allora non ha avuto soluzione di continuità, salvo qualche sporadica fase di distensione, coincisa ad esempio con il tentativo promosso da Rabin e Arafat nei primi anni Novanta e definitivamente tramontata con le provocazioni di Sharon nel 2000. Ciò non giustifica in alcun modo, sia chiaro, la violenza dell’estremismo palestinese, gli eccessi e i razzi di Hamas, la barbarie delle aggressioni contro il popolo d’Israele e il rifiuto dell’esistenza di uno stato che, invece, esiste e ne ha il pieno diritto. Ciò significa, sia chiaro, il ripudio di ogni forma di conflitto, compresa la reazione smisurata, disumana e nemica del concetto stesso di pace che caratterizza da sempre l’agire politico di Netanyhau. L’attuale primo ministro israeliano, infatti, oltre a non avere più un vero consenso e a essere un personaggio discutibile, controverso e coinvolto in sgradevoli vicende giudiziarie, è soprattutto un incendiario in una stagione in cui ci sarebbe bisogno di pompieri e pontieri. Netanyahu, ribadiamo, non vuole alcuna pace; al contrario, giustifica da anni un’occupazione di matrice coloniale che non fa che esacerbare gli animi, rendendo impossibile qualsivoglia forma di dialogo e favorendo il dilagare dell’odio e del fondamentalismo nella Striscia di Gaza e nel poco che resta dei territori palestinesi.
Quanto allo schieramento della classe politica italiana, è opportuno sorvolare. Comportarsi come se si trattasse di un derby, come se fossero ammissibili le tifoserie al cospetto di una tragedia di proporzioni apocalittiche e rinunciare al ruolo di interlocutori di entrambi, come del resto sta facendo l’afasica Unione Europea, significa perdere l’ennesima occasione per dimostrare di avere un minimo di conoscenza del fenomeno e di umanità nei confronti di due popoli che stanno patendo le pene dell’inferno a causa della grettezza dei rispettivi governanti.
Manca, dunque, un’azione politica internazionale, manca la volontà di agevolare il cessate il fuoco, si perde tempo a distribuire, in maniera del tutto arbitraria, ragioni e torti e ci si erge a giudici mentre i razzi piovono su Tel Aviv e, sull’altro versante, si assiste alla consueta serie di massacri dopo i quali non ci sarà alcuna possibilità di ricostruire. Per non parlare poi dei cosiddetti Accordi di Abramo promossi da Donald Trump, una delle cause scatenanti di quest’ennesima ondata di sangue che Joe Biden, sinora perfetto in ambito interno, non ha ancora avuto la forza di arrestare, ad esempio revocando lo spostamento dell’ambasciata americana a Gerusalemme.
Il vecchio sogno di Carter, Rabin e Arafat di due popoli-due stati non è mai stato così lontano. Ci attendono altri giorni di orrore, di tifoseria insensata, di cattiveria diffusa e di commenti ipocriti e privi di senso. Il che mette a nudo, al contempo, l’instabilità del Medio Oriente e il tramonto di un Occidente che ha deciso scientemente di rinunciare ai suoi valori fondanti.
Iscriviti alla Newsletter di Articolo21