Nella giornata mondiale proclamata dall’Unesco per la libertà di informazione e giornata nazionale per l’informazione costruttivapromossa dal movimento Mezzopieno e da centinaia di associazioni italiane pubblichiamo questo editoriale di Barbara Schiavulli, tutor di questa edizione.
Difficile celebrare la giornata della libertà di stampa nel pieno di una pandemia che è spesso è stata consapevolmente usata da alcune nazioni per limitare se non addirittura ostacolare, il lavoro dei giornalisti. Difficile scrivere a pochi giorni dalla morte di due colleghi spagnoli in Africa uccisi mentre cercavano di raccontare una storia. Difficile ricordare che ci sono tanti colleghi minacciati, detenuti, impauriti. Ma è nel pieno di una crisi che spesso si trova la forza per fare la differenza. Paradossalmente per quanto lo si possa schiacciare, ridicolizzare, mettere in pericolo, tentare di bloccare, il giornalismo resta uno dei pilastri della società civile. Resta ancora l’unico mezzo per monitorare i poteri, denunciare gli abusi, svelare i soprusi, manifestare anomalie, accendere e stimolare la ragione della gente.
Questo mestiere si fa per tutte quelle persone che non hanno voce. Persone che vivono vite difficili. Quelli che la vita la perdono e di cui noi raccogliamo l’eredità. Si fa giornalismo per ricordare che non siamo uno, ma tutti.
Si fa perché si crede nella giustizia.
I giornali possono essere in crisi ma non lo è il giornalismo. Finché ci sarà un giovane disposto ad indossare il vestito scomodo di questo mestiere, c’è la speranza che le cose migliorino. E i giovani ci sono, a dispetto delle difficoltà, ancora c’è chi vuole raccontare la Storia, vedere con i propri occhi, grattare le superfici.
Il mondo è cambiato, ma non lo è la necessità sociale di avere un organo come il giornalismo a presidio della democrazia.
I giornalisti veri non scrivono per un giornale ma per una società sana, che riguardi la nostra città o il resto del mondo. Raccontano storie, fatti e persone. Smascherare lo sporco e denunciare. Cercano di farlo con empatia verso la sofferenza, attraverso l’informazione quella indipendente che guarda a chi ha bisogno e non chi è al potere. Giornalisti che verificano, controllano, presidiano. Giornalisti che credono nei ponti e non nei muri. Credono nelle crepe, nelle aperture, nella contaminazione. Giornalisti che sono per le strade, tra i villaggi, negli interstizi. Un giornalismo a servizio degli altri, non che li usa, coscienti del fatto che la qualità non andrà mai in fallimento.