Quanto accaduto al concertone del Primo Maggio ha dell’incredibile. Mai spostiamo lo sguardo dal dito e guardiamo la luna. E per me la luna è che siamo a un incrocio pericolosissimo della storia, un incrocio al quale tante vetture rischiano urti frontali. Sta accadendo da noi quel che accadde negli Stati Uniti dopo il terribile caso Floyd, l’afro americano ucciso come tutti sappiamo. Scoppiò la rabbia e si passò alla distruzione di statue che ricordavano personaggi storici, ma dai comportamenti a dir poco criticabili. Come Cristoforo Colombo. La criticabilità di Cristoforo Colombo personalmente mi è molto cara, ma io credo sia stato giusto non abbattere l’obelisco che ricorda Mussolini al Foro Italico, che non mi è per nulla caro, anzi. La storia si cambia, ma per cambiarla bisogna conoscerla, riconoscerla e determinarsi a cambiare. E’ un processo individuale e collettivo. Questo però posso dirlo io, diverso era per mio padre, che venne consegnato dai fascisti ai nazisti e deportato in Germania quale partigiano combattente. Altrettanto credo sia accaduto per chi abbatteva le statue dall’interno delle comunità di afro americani. Il peso di cosa significhi nella loro vita quotidiana essere “neri” io non lo so, ma devo poterlo capire, e posso se voglio: Vico ci insegnò proprio questo. Dobbiamo immaginare i discriminati per capire la discriminazione.
Ora se non abbiamo capito cosa accada agli omosessuali da secoli, cosa sia l’inferno della discriminazione per ciò che loro avvertono di essere, il modo in cui vogliono vivere, è grave. Per loro e per noi. E non ci sono soltanto loro. Ci sono anche i trans: hanno il diritto di essere sé stessi? Di vivere, vestirsi, amare, come ritengono? E ancora…. Le violenze, il livore verbale e fisico devono essere messe all’indice innanzitutto nelle nostre scelte quotidiane, nei nostri comportamenti. Questo punto deve crescere attraverso i comportamenti individuali e collettivi, ma purtroppo non è così. Questo è il punto che rende necessaria una legge. Trovo disarmante che la Conferenza Episcopale Italiana abbia difeso la fondatezza del no alla discriminazione parlando poi di difesa della famiglia naturale o tradizionale. Che c’entra? Qual è il rapporto tra la difesa della famiglia e il no alla violenza verbale o fisica per scelte o stili di vita?
Il disegno di legge Zan però è scritto in modo tale da non risolvere questo problema senza porne un altro. Per spiegarlo provo a ricorrere al calcio. Quando si andava alla stadio ci si confrontò con l’emergenza razzismo, i cori razzisti. Siccome fioccavano squalifiche si pose parziale rimedio distinguendo tra discriminazione razziale e discriminazione territoriale. Dire “Oh Vesuvio lavali col fuoco” non era razzismo, ma discriminazione territoriale. Divertente. L’intenzione -credo- era ridurre le sanzioni per attacchi ai napoletani o ai meridionali o ai settentrionali rispetto all’ululato razzista.
Con la legge Zan si cerca di fare l’opposto. Non si vuole limitare le sanzioni alle fattispecie già previste, ma estendere. Così facendo però si creano delle gabbie lessicali. Dice la legge: “ Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”. Qui è interessante ricordare l’origine dell’uso del termine “genere”. L’ha spiegata, come un caro e bravissimo amico americanista mi ha fatto notare, Ruth Bader Ginsburg, la giudice americana pioniera dell’uguaglianza di genere. Lei stava scrivendo una relazione nella quale usava più volte la parola sesso: la segretaria le fece notare che rivolgendosi a una platea quasi esclusivamente maschile il termine “sesso” sarebbe stato equivocabile e le suggerì di usare il termine “genere”.
Da un possibile equivoco è cominciato un cammino, siamo andati avanti. E’ vero. Ma il problema rimane la discriminazione delle persone per i loro stili di vita legittimi e afferenti alla sessualità. Dobbiamo per forza definirle? Cosa salda questo gravissimo problema del diritto degli esseri umani ad essere ciò che loro sono, a loro insindacabile sentire, alla necessità di definire?
Chi vuole difendere la famiglia tradizionale non insulti con le parole chi vuole vivere come sente, chi vive rispettoso del pubblico decoro non venga insultato o discriminato o picchiato per il solo fatto di essere come è. E’ tutto qui. E’ il problema che pongono i laicisti in Francia: perché va impedito a una persona di indossare simboli religiosi? Cosa differenzia l’uso dei simboli religiosi dall’avere un altro colore, un’altra fede, un’altra idea?
Siamo a un incrocio terribile, dobbiamo prendere atto dei problemi, non abbiamo bisogno di approcci ideologici, ma di renderci conto della realtà, che è più forte di ogni idea. Se i vescovi dicessero quel che ha detto Francesco, “chi sono io per giudicare”, aiuterebbero anche gli altri a non voler categorizzare le perone. E questo aiuterebbe tutti a riflettere su altre emergenze di cui non si parla. Come la denatalità, le paure esistenziali. Tutte cose non si risolvono con il politically correct. Oggi se io voglio dire che il sole e la luna sono belli sarei scorretto. Dovrei dire che il sole e la luna sono bello e bella. Ma non credo che l’uguaglianza di genere cresca in noi così.