La rivoluzione basagliana non sarebbe stata la stessa, senza i colori, la fantasia, l’estro, la genialità di Giuliano Scabia (Padova, 18 luglio 1935 – Firenze, 21 maggio 2021), scomparso a 86 anni ancora da compiere nella sua casa fiorentina. Scrittore, poeta, filosofo, autore teatrale, docente universitario, il suo percorso si incrociò negli anni Settanta con i “matti” del manicomio di San Giovanni, a Trieste, dove Franco Basaglia e altri innovatori visionari come lui stavano scardinando l’istituzione manicomiale. Con loro e per loro inventò e costruì Marco Cavallo, il grande cavallo azzurro di cartapesta che divenne simbolo di libertà, da portare prima per le strade del capoluogo giuliano e poi in giro per l’Italia e il mondo.
Ma Scabia, inventore del Teatro vagante, non fu soltanto “geniale matto fra i matti”. È stato anche uno dei personaggi più importanti della scena teatrale e culturale italiana. Di più: uno dei maestri del nuovo teatro italiano, dal Gruppo 63 in poi, preferendo le strade, le scuole, le fabbriche, le periferie, persino i boschi ai velluti e agli ori dei palcoscenici istituzionali. Sublime cantastorie, uno dei suoi personaggi è stato Nane Oca, protagonista di vari romanzi. Al Dams di Bologna è stato per trent’anni docente di drammaturgia ma anche guida di almeno un paio di generazioni di poeti, scrittori, attori, teatranti, clown…
“La poesia – ricordano la moglie Cristina e la figlia Aurora – è stata sempre l’asse portante del suo operare, volto a indagare, con il “piede”, il ritmo del corpo, il nostro stare sulla terra, l’interrogarci sulle grandi questioni della vita e della morte, con un sorriso, un cavallo di cartapesta e molta delicata ironia, che conosce le seduzioni del mondo e delle ideologie e cerca di tenersi attaccata, nei suoi meravigliosi voli, alla terra e alle persone. Con un cavallo o un albero fiorito di cartapesta ogni anno portava un’inedita Operina dell’Anno Nuovo ai suoi amici”.
Fra questi, lo psichiatra Peppe Dell’Acqua, erede di Basaglia assieme a Franco Rotelli, testimone e protagonista di quegli eroici anni triestini. Che lo ricorda a modo suo, così: “L’altro giorno ho dovuto dire a Marco Cavallo che Giuliano stava proprio male. Cristina e Aurora mi avevano pregato di informarlo e di dirgli che non erano sicure che Giuliano riuscisse a superare la notte. Marco Cavallo ha nitrito di dolore. Un nitrito lamentoso che non avevo mai sentito prima. Ai nitriti di rabbia, di gioia ci sono abituato. Ha cominciato a scalpitare, a girare nervosamente in tondo. “Andrò a Firenze, e devo arrivare in tempo”. Ho cercato di dissuaderlo ma lui, testardo come sempre, ha chiamato il suo amico Ippogrifo per farsi guidare in una rotta, la più breve possibile”.
Ancora Dell’Acqua: “E così sono partiti, hanno superato l’Appennino e Marco Cavallo per tutta la notte è stato vicino a Giuliano, che sicuramente ha sentito la sua presenza. Quando è venuto il momento, Giuliano, allegro come sempre, è saltato in groppa al cavallo. Il cavallo azzurro, di nuovo è volato in alto, in alto, gioioso e allegro col suo amoroso amico poeta. Ciao, Giuliano Marco Cavallo…”.