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In memoria Franco Piruca, pittore. A dieci anni dalla scomparsa

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C:\Users\sanfi\Desktop\fotodigruppoPiruca (2).pngRicorrendo l decimo anno dalla scomparsa di Franco Piruca, pittore e caposcuola del “neoanacronismo” (come ebbe a dire Maurizio Calvesi), vorremmo rendergli omaggio, con una inedita testimonianza, tra passato e presente, redatta da Sanfilippo, scenografo e suo ex allievo negli anni ’60- poi amico assiduo e sincero negli anni del loro soggiorno romano-

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“Poesia della memoria” ha per titolo la mostra dedicata a Franco Piruca “dominata” da un suo grande dipinto Le Stanze realizzato del 1993.

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Le Stanze realizzato

Contesto: Poesia della memoria, ha per titolo l’esposizione di un importante, raffinato dipinto realizzato da Piruca, goà autore de “Le stanze” -1973 – olio su tela cm .180×150 esposto nel foyer del teatro argentina. L’evento artistico avveniva in concomitanza della prima teatrale (Roma, Teatro Argentina) di Luca Ronconi che aveva allestito un testo di Simone Weil mai rappresentato, dal titolo “Venezia Salva”. Testo ispirato al racconto ‘La congiura degli spagnoli contro la repubblica di Venezia’ di Saint-Réal. Rielaborata dalla Weil nel ’40, e ancora ripensata negli ultimi tre anni della sua vita, ma mai formalmente compiuta. Visitatori della Mostra d’arte e spettatori teatrali affollavano il foyer del teatro, vi era molta eleganza, tutti in abito scuro per la prima nazionale di un regista nominato quell’anno direttore artistico del Teatro di Roma.

In quell’occasione il dipinto di Franco Piruca artista dalla intensa vita interiore, evidenziava la grazia attraverso la contemplazione di un nudo di donna dormiente, posta su un sofà in primo piano su una metafisica prospettiva di silenziose stanze. Quel nudo dormiente, casto e inviolato ispirato alla figura di Simone Weil sembrava emanare lo stesso profumo rilevato in pagine di letture proustiane, (À la recherche du temps perdu). Rievocazione malinconica del passato perduto/ritrovato; per poi incontrare attraverso una pittura rielaborata sull’io narrante, la evocazione malinconica del passato perduto. il silenzio e la spiritualità, la dimensione dei ricordi, riguardo l’amore, il corpo e la dolce voglia, l’epitalamio e la famiglia. Un’attualità di valori pittorici che trascendeva dal nostro tempo storicizzato in quanto proveniva e si allacciava direttamente a quella parte dell’essere umano che età non ha: l’anima.

Durante la vita, Piruca da giovane dimostrava di coltivare un suo mondo tutto interiore e lui capiva che l’unico modo per vivere era dipingere e trasformare in arte la sola cosa che possedeva: la dimensione affettiva della memoria. La nostalgia del proprio vissuto era la sua energia, Per anni Piruca non ha dipinto, frequentava critici come Maurizio Calvesi e artisti come Jannis Kounellis, diametralmente opposti alla sua sensibilità.

Per cui credendosi impossibilitato ad andare incontro a dei linguaggi artistici extra pittorici, cominciò un lungo viaggio a ritroso, dentro di sé, alla ricerca dei suoi ricordi più lontani. Ma si mise anche in ascolto della sua mente tanto da intuirne i meccanismi invisibili, iniziò dipingendo un excursus di opere diaristiche: la propria esistenza in rapporto alla memoria dell’arte fino a rendere visivamente il suo passato un capolavoro.

Nel 1978 ha tenuto la prima personale alla Galleria La Tartaruga di Roma. In un suo scritto pubblicato in catalogo, aveva delineato quelli che saranno gli elementi portanti della sua ricerca: la memoria ( “creazione nel tempo di simboli e di eternità”), il collegamento analogico tra passato e presente, l’idea della morte, il ritorno alle origini (l’immagine del bambino ritorna molto spesso nelle sue opere ). Piruca è uno dei pittori, che nel panorama della neo avanguardia è uno dei primi ad operare in direzione di un ritorno alla pittura, – intesa come reinvenzione dei modelli dell’arte del passato tramite citazioni e rimandi iconografici. Pittura colta era la definizione che Piruca della sua opera prediligeva.

L’ho incontrato di pomeriggio il mese prima della sua scomparsa, ci siamo seduti all’interno del bar Canova a prendere un the verde con dei biscotti, in un colloquio sereno dove ricordi passati e istanze di lavoro presente, abolivano in un afflato la dicotomia del tempo. Franco non stava molto bene, ma era contento di essere stato invitato alla XIV Biennale d’Arte Sacra, a San Gabriele (Teramo) Era un po’’ in ansia – mi confidava – per il poco tempo a disposizione, per luglio 2010, per approntare l’opera da presentare, a tema Le Beatitudini,

Piruca è morto improvvisamente (a 73 anni) mentre stava abbozzando un disegno su piccola tela raffigurante una edicola mariana. Anche se in quel periodo stava male, Franco non si era mai sentito pronto a morire anzitempo. Per cui in quella mostra, a cui era stato invitato, non figura in catalogo tra gli artisti. Ma era esposto il suo lineare abbozzo compositivo tracciato sulla tela a matita. Paragonabile per analogie concettuali alla piccola tela di Paolini: Disegno Geometrico; opera anch’essa tracciata a matita su tela. E sarebbe interessante in avvenire veder esposte insieme le due opere grafiche dei due fra maggiori artisti degli anni !960-‘70 con opere citazioniste non simili ma concettualmente omologhe.

Col tempo, mi rendo conto che Franco Piruca, è stato un artista che ha infuso nelle sue tele la cultura critico-letteraria del novecento. E Proprio la sua improvvisa scomparsa rimanda a quel capolavoro letterario che è “la cognizione del dolore” di Carlo Emilio Gadda, dove la morte arriva per nulla, circonfusa di silenzio, come una tacita, ultima combinazione del pensiero. Anche per Piruca è arrivata per caso, inaspettata, come ultimo malinteso, come una definitiva incongruità, mentre stava iniziando un dipinto raffigurante un portale della vergine col bambino, destinata alla XIV Biennale D’arte Sacra al Museo Stauròs San Gabriele (Te). Una piccola tela che visualizza il motivo compositivo appena accennato a matita, simbolica porta d’ingresso del tuo dissolvimento, della tua nuova vita parallela alla nostra.

Adesso porsi in ascolto, nei silenzi reconditi della memoria, può aiutare a capire il nostro passato, il ritorno memoriale dalla e nella terra del nostro “pensiero meridiano” fattosi cruccio esistenziale. Nei ricordi affiorano, con immagini un po’ flou, gli anni 50/’60 vissuti in Sicilia, a Catania,, cittadina molto reale (la Milano del Sud era detta) un po’ fantasmatica per i trascorsi letterari che si delineavano nella prosa di Verga, Capuana, Brancati, Patti, Sciascia, Fava, Consolo, Cattafi, e tantissimi altri scrittori quasi tutti in catalogo presso le edizioni Sellerio. Come altresì sintomatiche risultano le domande che si sono posti i grandi meridionalisti – i Cuoco, i Salvemini, i Fortunato – che da decenni a tutt’oggi restano senza risposta. Probabilmente perché il meridione italiano, terra di assoluta bellezza e d’immense potenzialità, continua a galleggiare e in qualche modo a “naufragare” nel sottosviluppo; e a non impedire che i suoi figli migliori facciano la valigia per emigrare, portandosi appresso un pizzico di risentimento e di disamore. Non voglio azzardare classificazioni di tipo sociologico. Mi limito a testimoniare, a ricordare Catania non come città vivibile o invivibile: o ci si sguazza dentro, a crepapelle, sino alla fine dei propri giorni o se ne subiscono ustioni e cicatrici ovunque capiterà di cimentarsi. Dando ordine e progressione “sparsa” alle tappe di un’educazione (sentimentale, esistenziale, professionale) che non potrebbe prescindere, né mai lo vorrebbe, dal rapporto viscerale, quindi irrazionale, che lega alla propria città; così che molti siciliani amano il nomadismo culturale per realizzare il progressivo affermarsi.

Tu, caro Franco, come tanti altri – da Emilio Greco a Guttuso a Piero Guccione, abbiamo lasciato, il mostro meridione (ne nostre terre non più “di sac5ramento”) prima dei nostri vent’anni, perché cominciavamo ad essere intransigenti con noi stessi in quanto non riuscivamo più a riconoscerci nella geografia di un Sud considerato una periferia, perché intriso di una quotidianità passiva e ripetitiva.

Avvertivamo anzitempo la frattura tra le nostre aspirazioni di riscatto sociale, già fin d’allora ben definite, e la soporifera realtà esterna riconducibile a un’intera società obnubilata nella propria inettitudine, trascorsa nell’aporia dell’inconsistenza, nell’assenza di obiettivi da realizzare.

Era dunque quella d’entrambi una decisa scelta per la nostra crescita: sottrarsi, dilatando la distanza, tagliando il cordone ombelicale che ci teneva legati all’isola-madre. Ed era per entrambi, un abbandonare e seppellire dentro di noi la natura, l’esistenza, la sicilianitudine, la memoria. Ma col tempo abbiamo appurato che gli abbandoni, gli occultamenti, prima o dopo si ripresentano, riemergono, contro la nostra volontà e vigilanza; come più avanti avrebbe scritto Gianni Kounellis: “Trovare le origini avviene di certo attraverso il ritorno concettuale alle proprie radici, dove il depositare le esperienze riassume il conto della vita”… allorquando terminerà la fatica di Sisifo, attraverso l’operosità vana, dell’eterno ritorno.

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Franco Piruca (Catania 1937- Roma 2010) si era inizialmente formato in Sicilia, nella sua città natale e poi a Roma, dove si era trasferito nel 1954 e dove aveva vissuto un lungo periodo di crisi tanto da abbandonare ogni attività. Aveva ripreso il lavoro alla fine degli anni Settanta e subito aveva avuto un ruolo centrale nella rinascita dell’ attenzione verso la pittura figurativa, allontanandosi così in maniera netta dall’ astrattismo e dalle avanguardie. A partire dal 1983 aveva partecipato a tutte le mostre collettive curate da Maurizio Calvesi sul tema “Anacronismo”. Era conosciuto, oltre che come pittore, anche come intellettuale raffinato e complesso, per aver espresso delle teorie molto originali sul ruolo dell’ artista nella società contemporanea e sul modo d’ intendere l’ arte. Piruca ha esposto in diverse Biennali di Venezia e le sue opere sono presenti nelle sale di importanti musei europei ed americani. L’ artista è stato a lungo docente di pittura presso l’ Accademia di Belle Arti di Catania. Durante una recente esposizione presso la New York University, dal titolo Realismo immaginale, i suoi quadri hanno suscitato molto interesse presso la critica statunitense.

 


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