Questo 24 maggio 2021 cara Ilaria compi sessant’anni: ma non li hai vissuti tutti. Ventisette anni fa ti hanno uccisa insieme a Miran il 20 marzo 1994, il più crudele dei giorni, a Mogadiscio. Ci sarebbe piaciuto poterti scrivere che questo giorno è anche il giorno della giustizia: non possiamo farlo perché la verità giudiziaria ancora non c’è.
Ma tu e anche noi sappiamo tutto quel che è successo quel 20 marzo, prima e anche dopo in tutti questi anni grazie all’impegno indomabile della tua mamma Luciana e del tuo papà Giorgio e a una comunità di persone che è andata allargandosi: è la comunità del #NoiNonArchiviamo. Una comunità di cui fanno parte anche, con il loro impegno e ricordo molte scuole biblioteche librerie; tanti giardini parchi e strade che portano il tuo nome: Ilaria Alpi. E’ il ricordo che fa memoria e dunque impegno.
La Procura di Roma insiste con le richieste di archiviazione, ma grazie a questa estesa partecipazione, l’inchiesta sulla tua esecuzione insieme a quella di Miran non è stata archiviata: esecutori mandanti depistatori non devono stare tranquilli.
Hashi Omar Hassan è stato liberato dopo 17 anni di carcere perché innocente capro espiatorio: così recitano le motivazioni della sentenza di Perugia del 2017 aggiungendo che c’è stato un depistaggio di grande portata.
Molte cose conosciamo, con documentazione puntuale, su questo depistaggio e ne abbiamo scritto; così come sappiamo che bugie occultamenti carte false depistaggi sono iniziati subito dopo quel 20 marzo 1994 e forse sono ancora in atto. Continueremo a lavorare senza tregua perché si arrivi anche alla verità giudiziaria e dunque alla giustizia.
Il nostro Paese sta vivendo un momento molto difficile e anche gli anni che non sei stata con noi non sono stati facili. La pandemia non è sconfitta. La crisi politica economica e sociale è aspra; pericolose vicende come l’ombra di una nuova Loggia segreta e non solo minacciano le Istituzioni della Repubblica e scuotono anche la Magistratura. Si è aperta una riflessione attorno agli anni del terrorismo e delle stragi che hanno insanguinato il nostro paese da subito dopo la liberazione dal nazifascismo e la nascita della Repubblica.
Il tuo papà Giorgio ricordava sempre che c’è un filo che attraversa le stragi e giunge fino all’assassinio di Mogadiscio e, aggiungiamo, va anche oltre. Su questi fatti delittuosi “ci sono ancora ombre, spazi oscuri complicità non pienamente chiarite”, sono parole del nostro Presidente della Repubblica nell’intervista al direttore Maurizio Molinari nella data “simbolo” del 9 maggio di questo 2021.
Sergio Mattarella, in occasione dei 25 anni della tua morte ha scritto:
“…I nomi di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin sono accanto a quelli dei tanti che, in Italia e nel mondo, sono divenuti bersaglio di vendette, vittime di criminali ritorsioni, di crudeli esecuzioni finalizzate a reprimere la autonomia delle persone, a intimidire chi cerca notizie scomode, a imbavagliare il diritto alla verità….
La libertà di stampa è il termometro della salute democratica di un Paese. Va coltivata e irrobustita ogni giorno e centrale è la responsabilità delle istituzioni democratiche affinché siano sempre promossi i principi della nostra Costituzione e delle dichiarazioni internazionali in argomento”.
Molti giornalisti e giornaliste sono stati uccisi anche in questi anni dopo di te nel mondo. Non ti possiamo raccontare tutte le loro tragiche storie. Vorremmo farti conoscere Andrea Rocchelli, un fotoreporter di talento che ha una storia che incrocia la tua, per diversi aspetti. A partire dalla sua giovane età quando viene assassinato. La notizia della sua morte ci arriva mentre stiamo ricordando il tuo 53esimo compleanno e preparando a Riccione la ventesima edizione del premio giornalistico a te dedicato, per la prima decade di settembre: faremo in tempo, con l’aiuto della sua famiglia e di CesuraLab (il collettivo di fotografi fondato da Andrea), a organizzare una mostra fotografica dei suoi lavori, bellissimi.
E’ il 24 maggio 2014 Andrea ha trentun anni, si trova a Sloviansk in Ucraina e quel sabato di maggio viene colpito da ripetuti colpi di mortaio e muore; gli ultimi istanti della sua vita sono documentati dalle foto da lui stesso scattate. Sono trenta scatti a testimoniare che sono sotto la collina di Karachun, dentro un fosso per ripararsi dalla sequenza a raffica dei colpi di mortaio che lo uccidono. Insieme a lui muore Andrej Mironov, il suo amico giornalista russo. Il fotoreporter francese William Roguelon viene ferito gravemente, si salva e sarà il testimone che potrà raccontare l’accaduto con la credibilità di chi può dire “io c’ero” così come Andrea con i suoi 30 scatti. “Sono certo che i colpi di mortaio venivano dalla collina, dagli Ucraini”, è ciò che dichiara William da subito.
C’erano altre due persone in quegli istanti di morte. Il taxista Evgeny Kushman le cui dichiarazioni rilasciate ancora a maggio del 2014 confermano quelle di William; nel 2015 tenterà di avviare anche una procedura legale contro il governo ucraino. Maxim Tolstoiy, il quinto uomo, sarà identificato in Italia solo grazie agli scatti di Andrea dopo due anni.
Anche per Andrea sono decisivi e indomabili i suoi genitori Elisa e Rino senza i quali non ci sarebbe stato processo.
Anche la vicenda giudiziaria si presenta non facile come la tua, cara Ilaria. Ci sono stati due gradi di processo con due diverse sentenze.
Vitaly Markiv è il cittadino italiano volontario nella guardia nazionale ucraina arrestato a Bologna nel 2017, processato e condannato a ventiquattro anni di carcere il 12 luglio 2019 dalla corte di Assise di Pavia per concorso di colpa nell’omicidio di Andrea e del suo amico giornalista Andrej Mironov. “La lettura…di tutto il compendio probatorio consente di ritenere, oltre ogni ragionevole dubbio, la responsabilità del prevenuto in concorso con i propri commilitoni, con il comandante…e con i membri della brigata 95 dell’esercito ucraino in ordine ai reati di omicidio (di Rocchelli e Mironov) e di tentato omicidio (di Roguelon) (pag.145 della sentenza).
Nelle motivazioni si legge altresì che le vittime giunsero a bordo di un taxi, che indossavano abiti civili, che erano intenti a scattare fotografie, “…che furono fatti ripetutamente oggetto di artiglieria leggera e pesante insieme al taxi… per impedire la fuga …al deliberato fine della loro eliminazione.
Il comportamento tenuto è in violazione delle norme del diritto umanitario e della IV convenzione di Ginevra (17.3.1950) che tutela i civili in tempo di guerra vietando violenze contro la vita e l’incolumità di coloro non direttamente coinvolti nelle ostilità compresi i giornalisti e fotoreporter nei teatri di guerra”.
Vitaly Markiv il 3 novembre 2020: la Corte di Appello di Milano lo assolve. Si legge però a pag.63 delle motivazioni della sentenza: “…si concorda con le conclusioni della Corte di Pavia per tipologia e provenienza dei colpi che hanno ucciso Rocchelli e ferito Roguelon (colpi di mortaio…dalla collina del Karachun ad opera dei militari arma ucraina in direzione del fossato ove erano nascosti i fotoreporter, il taxista e il civile)…sparano senza alcuna provocazione … con un ordine dato illegittimamente …perché l’ordine (principale ndr) era che nessuno si avvicinasse all’avamposto)” …
C’è altresì la certezza della presenza di Markiv, come lui stesso ricostruisce con un autofilmato…negando però di essere lì nell’ora dell’uccisione. Le testimonianze del suo diretto superiore Bogdan Matkivskiy e degli altri militari ucraini che lo confermano, per vizio di forma, sono considerate inutilizzabili (perché potevano essere indiziati loro stessi di correità in ordine al concorso di omicidio: dovevano testimoniare assistiti dai loro avvocati!).
Nella sentenza citata che respinge tutte le richieste dell’accusa si legge che la Corte, ai sensi dell’art.598 del CP, chiede la cancellazione di frasi pronunciate dalla difesa, nelle loro arringhe, ritenendole fortemente offensive e lesive del prestigio dell’intera Magistratura oltre che della prima Corte.
Di altre dichiarazioni, in particolare relative all’udienza del 23 ottobre 2020 non chiede nemmeno la cancellazione “perché c’è il rischio di aggravarne ulteriormente il contenuto offensivo”. Si tratta di accuse nemmeno velate tese a delegittimare la prima Corte di Pavia…
In questi giorni Gustavo Zagrebelsky presentando il suo nuovo libro pone un quesito: l’avvocato che sa della colpevolezza di chi gli si rivolge può assumerne la difesa?
Risponde l’art.111 della Costituzione: la giurisdizione si attua mediante giusto processo … si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità …”
Nel nostro caso l’accusa rappresenta le vittime di quel 24 maggio 2014: Andrea, Andrej; e Roguelon ferito gravemente.
La difesa i presunti colpevoli: Markiv e come responsabilità civile il governo Ucraino.
La domanda è fino a che punto la difesa può spingersi: a me pare questa la domanda.
Zagrebelsky chiama in causa il codice deontologico che chiede all’avvocato di fermarsi e non prestare la sua opera per avvallare azioni illegali (che si possono perseguire).
L’accusa nei confronti di Markiv ha esposto le sue motivazioni, testimonianze tenendo saldamente il caso all’esame di un fatto criminoso preciso escludendo ogni elemento che potesse portare a una polarizzazione politica. Questo caso investe questioni di geopolitica molto complessi e critici per i paesi in campo: l’Italia ferita con l’uccisione di un suo cittadino, l’Ucraina paese in cui è avvenuta la tragedia e nel quale due parti si fronteggiano in un conflitto pericoloso che coinvolge politicamente la Russia e l’Europa e dunque anche l’Italia.
Non si può dire che la difesa abbia fatto altrettanto.
Chi ha seguito le udienze a Pavia e a Milano sa che ci sono stati insulti, frastuoni grida, che addirittura il ministro dell’interno Ucraino ha partecipato alle udienze e ha accolto con esultanza Markiv dopo la sentenza e subito portato come eroe a casa con tutti gli onori.
La Corte di Milano ha cancellato molte parti delle arringhe come si diceva.
Ha tentato, la difesa, di far passare la versione falsa che a sparare ed uccidere siano stati i separatisti filo russi (oppure un “fuoco incrociato tra le parti”, la casualità della guerra che uccide!) . Il tutto con bugie, carte false costruite ad hoc.
Dopo la condanna a 24 anni di Markyv in assise a Pavia il Ministero degli Interni ucraino ha proposto una versione dei fatti del Maggio 2014 ben diversa da quella della giustizia italiana.
Tale versione è anticipata con grande rilievo in una conferenza stampa di livello internazionale, pure tradotta in Italiano effettuata a Kiev il 31 Agosto 2020.
L’incontro è presieduto da Arsen Avakov , Ministro degli Interni, in persona, assistito dal suo vice Anton Gerashenko e dal viceresponsabile della polizia ucraina, capo del dipartimento investigativo Maxim Zuzkerize. Certo un Paese non propriamente democratico.
Zuzkerize riporta la versione che viene poi confermata ufficialmente nel video denominato “Nome di battaglia Italiano” prodotto dal Ministero della cultura ucraino e diffuso nel marzo 2021 sui canali TV nazionali.
Alla liberazione di Markyv si è giunti con una fortissima pressione diplomatica da parte del governo di Kiev, iniziata fin durante il processo di primo grado e con plateali manifestazioni della comunità ucraina in Italia e non solo.
Una fitta trama di contatti per giungere all’obiettivo di “liberare il soldato Markyv” che trova un puntello nello spostamento della sede del processo di appello da Pavia a Milano.
Il Presidente Ucraino Volodymyr Zelensky nel suo incontro a Roma il 6 e 7 febbraio 2020 con Giuseppe Conte, Presidente del Consiglio, con Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica, sostiene di aver sollevato il “caso Markyv”, dichiarandolo in conferenza stampa insieme alle parole: ”dobbiamo riprenderci il ragazzo». Veniva coinvolto anche il Vaticano, sembra: in una telefonata in cui Zelensky chiede intercessione al papa per “risolvere il caso”. Nel filmato citato appaiono comunque sia Conte che Mattarella che Papa Francesco, come a confermare delle ignobili tesi.
Insomma tutto un paese si stringe attorno a Markiv durante i processi e racconta anche in video la storia di un “ eroe della nazione”.
Sua Beatitudine il Metropolita Epifanio, Primate della Chiesa Ortodossa dell’Ucraina ha assegnato “all’ex prigioniero italiano Markiv” l’Ordine dell’Arcangelo San Michele Arcistratega.
E’ il santo patrono di tutti i militari, che sta a capo dell’Esercito Celeste. “Resistere e non arrendersi, non tradire lo Stato ammettendo la sua colpa e vincere – è per questi meriti che Markiv ora ha un premio della Chiesa”.
Anche la Chiesa Ortodossa dovrebbe rispettare i suoi dieci comandamenti: non uccidere (il sesto); non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo (il nono).
La verità è che a uccidere Andrea e Andrej, a ferire gravemente William sono stati gli Ucraini, esercito e volontari della guardia nazionale. Che solo un vizio di forma ha consentito “l’assoluzione di Markiv” la cui colpevolezza, in concorso con altri militari della catena di comando che diede l’ordine di sparare, è certa e documentata da lui stesso (Markiv) e dalla sentenza della Corte di Milano che concorda con iter e motivazioni della Corte di Pavia.
Ci sarà un terzo grado di giudizio forse. In ogni caso è necessario che il nostro Paese scelga e annunci di costituirsi parte civile: quando un nostro cittadino viene ucciso tutto il paese si deve impegnare perché si arrivi alla verità tutta la verità senza la quale non c’è giustizia, si deve stringere alla famiglia che con sobria dignità lotta con tenacia. Non ci sono ragioni per non farlo. A maggior ragione quando l’Ucraina, il suo governo, si sono stretti attorno al presunto colpevole, con modalità molto discutibili e lesive dell’onore della Magistratura italiana e delle nostre Istituzioni tutte.
Restare in silenzio non si può. Non ci piace l’indifferenza, siamo partigiani.
In una Paese straniero, l’Ucraina, proprio su una sorta di “linea verde” che delimita territori controllati dall’esercito regolare ucraino e dai volontari della guardia nazionale da una parte e dall’altra dai separatisti filorussi in perenne conflitto: Andrea era lì con i suoi compagni per “testimoniare” una realtà intollerabile di come vivono e muoiono le vittime civili innocenti di ogni conflitto: donne e bambini.
In un Paese straniero, la Somalia, anche Ilaria nei pressi della linea verde che delimitava i territori dei “signori della guerra”, per trovare conferme a quanto aveva scoperto e che fu fermata, uccisa insieme a Miran perché non potesse raccontare. Anche lei rivolgeva la sua attenzione alle donne e ai bambini prime vittime di conflitti atroci ma anche di fame malattie e violenze.
Andrea e Ilaria sicuramente sarebbero a Gaza e in Israele in questi giorni dove si sta consumando una tragedia che segnala la disparità degli armamenti di morte tra i contendenti e le asimmetriche responsabilità del conflitto centenario che necessita di isolare gli estremismi perché la tregua conduca a una soluzione equa e di pace, subito.