Si chiama Nemesio Oseguera il nuovo re della droga in Messico. “El Mencho”, così lo chiamano, è il boss che ha sostituito “El Chapo” Guzmán nell’impero dei narcos e che adesso guida il più forte cartello a sud del Rio Bravo, il Jalisco Nueva Generación, secondo la Dea americana. È tra i primi tre criminali più ricercati al mondo con una taglia da oltre dieci milioni di dollari. Punta a regnare incontrastato sul Messico e per far questo ha più di diecimila persone, tra killer, gregari e affiliati, al suo soldo. Crea sugli insegnamenti del suo ex capo “El Chapo” la Jalisco Nueva Generación. Conquista tutte le piazze, si impone con la violenza ispirandosi a Totò Riina e alla strategia violenta dei corleonesi. “Plomo mas que plata”. Piombo più che soldi. Con questa strategia in Messico è stata uccisa una candidata a Sindaco, Alma Barràgan, in vista delle elezioni del 6 giugno prossimo. Sono già circa quaranta i candidati alle elezioni uccisi a livello nazionale. L’ennesima esecuzione è avvenuta pochi giorni fa durante un comizio. Il Presidente della Repubblica, Andres Manuel Lopez Obrador, ha detto che l’omicidio è frutto del predominio dei narcos. Una cosa è certa: candidarsi in Messico è diventato un atto di coraggio e di eroismo civico, soprattutto quando ci si schiera a favore della legalità: l’ultimo atto di violenza si è consumato nei confronti di una candidata a Sindaco che si era appena dichiarata a favore del movimento dei cittadini. Durante un comizio nello Stato messicano di Guanajuato: la candidata a sindaco di Moroleón, Alma Barragán, è stata raggiunta da cinque pallottole sparate a bruciapelo. Un commando ha fatto irruzione durante l’incontro della campagna elettorale e portato a termine l’obiettivo mortale. Uomini armati hanno cercato esplicitamente la candidata Sindaca e le hanno sparato riuscendo ad arrivare al suo fianco senza alcun ostacolo e ferendo altre due persone. Questo sarebbe accaduto, semplicemente perché la Barragàn aveva un programma fondato sulla trasparenza, sulla lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata. Un Paese che non riesce a garantire la sicurezza delle manifestazioni elettorali, a prescindere di chi sia la colpa, è una Nazione a rischio democrazia. Nel suo programma elettorale la candidata Sindaca aveva promesso di donare lo stipendio dei primi tre anni di mandato per la costruzione di un orfanotrofio a Moroleón, aveva promesso una seria lotta alla corruzione, più sicurezza e maggiore impegno nella lotta alla povertà. Tutti aspetti che non convengono al crimine organizzato, e allo Stato deviato, che regna dove c’è corruzione e povertà. Gli ultimi arresti frutto della cooperazione internazionale di polizia e magistratura (penso al recente arresto di Rocco Morabito) funzionano e hanno dato i loro frutti. In Messico occorre prendere coscienza del fatto che i cartelli della droga generano redditi annui per miliardi di dollari. Economicamente sono uno Stato nello Stato, ma con un potenziale impiego di denaro molto superiore a quello dello Stato. Hanno creato una economia parallela ed autonoma. I clan spendono somme ingenti per corrompere politici, giudici e polizia. Proprio per questo le autorità statali stanno perdendo la guerra. Negli ultimi dieci anni quasi ventimila persone sono state uccise, di cui oltre seimila dallo scorso ottobre. Politici onesti e giornalisti liberi sono particolarmente in pericolo. La Comunità Internazionale deve comprendere che senza coinvolgimento di tutti gli Stati democratici in ambito ONU, il Messico da solo non può vincere questa guerra. È chiaro che la criminalità organizzata approfitti inesorabilmente di questi vuoti di potere e della debolezza istituzionale quando non è apertamente corruzione. In questo momento storico le grandi holding criminali messicane hanno saputo adattarsi, investire, creare consenso ed arricchirsi. Si pone dunque un grande quesito che riconduce sempre allo stesso problema: qual è il ruolo dello Stato nella lotta alle mafie? Sebbene le considerazioni finali dovrebbero consegnare delle risposte piuttosto che delle domande, in questo caso è doveroso chiedersi se lo Stato possa permettersi di lasciare al mercato criminale la gestione della vita economica di un Paese come il Messico nelle mani nei nuovi narcotrafficanti e dei nuovi politici corrotti.
Vincenzo Musacchio, giurista e docente di diritto penale, è associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). E’ ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. E’ stato allievo di Giuliano Vassalli e amico e collaboratore di Antonino Caponnetto.