C’è un professore universitario di Storia Contemporanea tra gli undici indagati per le minacce al capo dello Stato ed anche lui viene considerato vicino ad ambienti di estrema destra. I post offensivi della massima carica istituzionale del Paese vengono ritenuti nell’inchiesta seguita dal Ros, in qualche modo, parte di una rete con connotazioni ideologiche ben precise. Quello di Gervasoni è il nome che ha fatto più rumore. Chi è Marco Angelo Gervasoni e cosa ha fatto fino ad oggi? Insegna all’Unimol, molti titoli, solido curriculum, un lungo elenco di pubblicazioni, tra cui vari libri e l’ultimo intitolato “La rivoluzione sovranista, il decennio che ha cambiato il mondo”. Dunque un intellettuale che non nasconde il suo pensiero, anzi quando si è interrotta la collaborazione per la docenza alla Luiss da destra si sollevarono critiche circa la “censura” della libertà di pensiero che sarebbe stata posta in essere dall’Università nei confronti di Gervasoni. Era il 2019 e durante la festa di Atreju (l’evento annuale organizzato a Roma da Fratelli d’Italia) fu lo stesso Gervasoni ad affermare di essere stato cacciato dalla Luiss. Decisione seguita di pochissimo ad un tweet del docente contro la nave Sea Watch scritto a luglio del 2019 nel quale sosteneva le posizioni di Giorgia Meloni circa la necessità di affondare la nave della Ong. Frasi che ebbero come reazione critiche durissime da parte dell’Anpi di Campobasso, città sede l’Università del Molise, dove insegna, appunto, Gervasoni. Il quale aveva commentato così: “E’ chiaro che un ateneo privato può decidere o meno se rinnovare un contratto, però mi era stato chiesto di indicare gli orari e le date delle lezioni, la bibliografia etc. E infatti fino a poco fa il mio nome compariva nell’indicazione dell’orario delle lezioni. Poi, una settimana prima dell’inizio dei corsi, mi ha chiamato un funzionario dicendomi che il contratto non era stato rinnovato”. Parole con le quali il docente attribuiva una motivazione politica al mancato rinnovo del contratto di lavoro. Fece anche riferimento ai tweet sulla nave della Ong e sul suo capitano Carola Rakete, sottolineando che li aveva pubblicati sul suo canale privato e non in quanto professore di Storia. Esattamente un anno più tardi, ossia settembre del 2020, è ancora un intervento sui social a causare nuove polemiche su Gervasoni, in particolare il suo post offensivo sulla vicepresidente della Regione Emilia Romagna, Elly Schlein, apparsa poche ore prima sulla copertina de L’Espresso. “Ma che e’ n’omo?” aveva scritto. La stessa Schlein a stretto giro aveva sottolineato la gravità dell’accaduto: “Io sto bene ma è il Paese che, credo, non stia tanto bene. Ogni volta che una donna prova a tracciare una prospettiva politica sollevando alcuni problemi, c’è chi riesce sempre a spostare l’attenzione su qualcosa di diverso. Io in quell’intervista dicevo alcune cose. Discutiamo di questo, ha concluso, e non di altro”. La vicenda finì dentro diverse interrogazioni parlamentari e anche all’ordine del giorno di una riunione del Senato Accademico dell’Università del Molise. Il Ministro dell’Università dell’epoca, Manfredi, chiamò personalmente il Rettore di Unimol, Luca Brunese, ed ebbe a sottolineare con una nota ufficiale che “nel rispetto dell’autonomia universitaria e della libertà di espressione, proprie del mondo universitario, c’è un altro principio che non possiamo tralasciare, pure esso insito nell’etica del mondo che vive dentro e fuori le università: quello del rispetto dell’essere umano e della tutela di comportamenti non discriminatori”.
“Com’è possibile che in un’università pubblica si metta in cattedra un personaggio omofobo e sessista come Marco Gervasoni, che non sa esprimersi senza insultare?”, scrisse su Facebook la deputata dem Laura Boldrini e il suo intervento fu uno dei moltissimi messaggi di solidarietà a Elly Schlein. Tutto questo avveniva mentre si era già consumato un altro reato, quello che viene appunto contestato in queste ore dal Ros in danno del Presidente Sergio Mattarella.
Ma c’è dell’altro in questa storia e riguarda sempre il ruolo dei social, che appare oggettivamente determinante nella campagna d’odio. In base agli accertamenti svolti finora, si ritiene che esista un collegamento con la piattaforma social VKontakte, l’equivalente di Facebook in Russia, seguitissimo e dove non ci sono gli stessi vincoli e limitazioni che invece si applicano sul social americano. Per esempio si possono scaricare immagini, film, musica senza gli stessi controlli né rischiare il blocco. Gli ultimi dati indicano la presenza di una cospicua comunità di utenti italiani su VKontakte. Come si sa Facebook e Twitter applicano un sistema di blocco per messaggi antisemiti o di ispirazione nazifascista. Circa l’uso delle immagini e delle produzioni artistiche molte case di distribuzione hanno denunciato la piattaforma russa per violazione del diritto d’autore.
(nella foto Marco Gervasoni)