Se un gruppo di musulmani avesse preso d’assalto la terza sinagoga più importante di Gerusalemme in un giorno sacro per il popolo ebraico la notizia sarebbe apparsa da subito sui tg e sulle prime pagine di tutto il mondo.
Per l’irruzione delle forze israeliane nella moschea Al-Aqsa, mentre i fedeli erano impegnati nelle preghiere serali, che ha causato oltre 200 feriti il giorno dopo giusto qualche richiamo. In Italia pressoché nulla.
Eppure in Israele la situazione è tesa come non accadeva da anni.
La polizia sostiene di essere stata aggredita da decine di facinorosi dopo aver bloccato sull’autostrada alcuni pullman che trasportavano arabi israeliani verso Gerusalemme.
I convogli sono stati fermati, secondo le autorità israeliane, perché alcuni passeggeri “intendevano svolgere azioni violente” alla Spianata delle Moschee, nella città vecchia dove i musulmani si ritrovano per Laylat al-Qadr, una delle notti sacre del mese del Ramadan.
Dopo alcune ore l’autostrada è stata riaperta in entrambe le direzioni, ma nel frattempo, un’altra strada principale, la 443, è stata occupata da fedeli islamici in cammino.
Quanto che accaduto in un luogo simbolo per tutti i musulmani radunatisi per l’ultima grande preghiera del venerdì ad Al Aqsa è stato un vero e proprio attacco alla libertà di culto e alla pace.
Sì è trattato di un blitz contro persone pacifiche che stavano pregando.
Gli scontri si susseguono ora dopo ora e la situazione è destinata a peggiorare. Decine di feriti anche nel quartiere a forte prevalenza araba di Sheikh Jarrah, dove oltre vivono centinaia di palestinesi sotto minaccia di sfratto dopo l’acquisto delle case da parte di un gruppo di destra ebraico.
Una complicata vicenda legale che poggia sui passaggi dei terreni e delle proprietà nel corso dell’ultimo secolo e su cui lunedì prossimo la Corte Suprema di Israele è stata chiamata a decidere, a meno di possibili rinvii. Per questo il mondo guarda a Gerusalemme con apprensione. L’invocazione a una veloce de-escalation delle tensioni è univoca. Bruxelles ha definito “le violenze inaccettabili” da ogni parte.
I palestinesi e il mondo arabo – compresi Emirati Arabi e Bahrein, entrambi cofirmatari degli Accordi Abramo – hanno attaccato Israele.
Abu Mazen ha definito lo Stato ebraico “colpevole” delle violenze in “quanto potenza occupante” e foriera degli “sviluppi” e “delle relative conseguenze” invocando l’intervento della comunità internazionale.
Lo stesso ha fatto la Giordania, responsabile proprio dopo la Guerra del 1967 dello status quo sulla Spianata, che ha parlato di “barbaro assalto ai fedeli” sul terzo luogo santo dell’Islam nei giorni finali del mese di Ramadan.
Da Gaza Hamas – le cui bandiere verdi sono state innalzate dai dimostranti durante gli scontri – ha minacciato Israele di riprendere le Marce lungo il confine, mentre da tre giorni arrivano nelle comunità israeliane attorno alla Striscia i palloni incendiari.
Netanyahu – che ha presieduto una riunione con il ministro della Difesa Benny Gantz, il capo di stato maggiore Aviv Kochavi e le forze di sicurezza – ha risposto che Israele sta agendo “in maniera responsabile per assicurare la legge e l’ordine e mantenere la libertà di fede nei luoghi santi”. Per questo la polizia – che attribuisce i disordini anche al rinvio delle elezioni palestinesi – ha ammonito che è decisa a stroncare nuovi incidenti. Stessa reazione da parte dell’esercito che ha incrementato le truppe nei Territori dopo lo sventato attacco in Cisgiordania in cui 2 palestinesi che avevano sparato sui soldati sono stati uccisi.
Quelli in corso da martedì sulla Spianata delle Moschee scorso sono i peggiori disordini da anni e la situazione non può che aggravarsi.
Ma dall’Italia non una voce si è levata su quanto sta avvenendo in Palestina.