BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Fra gli altri si marcisce, con gli altri si esiste. ‘Le tre verità di Cesira’ di Manlio Santanelli al Teatro di Rifredi

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Un’umanità reietta, malconcia e ammuffita brulica nei quartieri fatiscenti della città. Vecchi televisori, un aspirapolvere e una radio sono ammassati accanto al bancariello di un’anziana venditrice d’acqua e bibite dai colori lisergici, a lire 1.000 capauno. Infinite carabattole affollano il tavolo coperto da una bandiera del Napoli a mo’ di tovaglia e coronato dall’immancabile foto del pibe de oro. Proiettata su un fondale l’immagine di un vicolo… Dietro la comicità  che ammicca all’assurdo, nell’opera scritta da Manlio Santanelli, la vera protagonista è la relazione, con se stessi e con gli altri.

La relazione prima, più bella, è quella fra l’attore e il suo pubblico, finalmente di nuovo in dialogo dal vivo. L’esperienza di sedere nuovamente su una poltroncina, sentire attorno il calore degli spettatori e la plasticità, l’emozione e la sublime bellezza di un’anima, quella dell’attore, che si fonde con quella del personaggio, del regista Angelo Savelli e dell’autore, e si muove a dissetare un pubblico in attesa da quasi un anno e mezzo. La signora Cesira, la vecchia baffuta, è un fenomeno da baraccone per la società che ride di lei e della sua inusuale condizione. Cesira però ha bisogno di attenzione, di poter entrare in confidenza con qualcuno e potergli raccontare le sue storie: storie tristi di famiglie storte, raccontate però con la volontà di accendere il sorriso nell’ascoltatore, per distillare la leggerezza dalla sofferenza e dall’umiliazione. La prima storia parla del rapporto malato di Cesira con se stessa: si definisce figlia di una genìa muffita e determina il proprio valore di essere umano prendendo come unico parametro il denaro ottenuto vendendo il corpo alla Scienza, post-mortem of course. Nel secondo racconto la relazione guasta è quella con gli altri: avvelenano l’acqua, avvelenano il suo corpo e persino il legame con un uomo inetto, un risibile parassita, a causa della perdita del figlio atteso e desiderato soprattutto da lui. Nella terza narrazione Cesira, poco più che bambina, è vittima della guerra e delle trovate di un Sant’Antonio da Padova dall’accento veneto esilarante, che poco o nulla capisce degli uomini e della loro bestialità. I Santi, fallibili e un poco ridicoli, compiono piccoli miracoli nocivi, per poi perdersi come palloncini ondeggianti nel loro empireo troppo lontano dagli affanni terreni.

Nel finale, l’affabulatrice che con i suoi racconti allucinati tentava di guadagnare l’attenzione del presunto cameraman Rai – in modo da non sentirsi preda della solitudine, almeno per un po’ – rimane ingannata, avendo frainteso quel che intendeva comunicarle l’impiegato afasico (Pietro Grossi).

Gennaro Cannavacciuolo interpreta in modo toccante la signora Cesira Scognamiglio approfondendo la tristezza disincantata insita nel personaggio, anche attraverso l’ironia e l’autoironia. Cesira è un personaggio che prende atto con amarezza distante della repulsione che gli altri provano per lei: “mi schifano anche le zoccole [i ratti]” dice la signora baffuta.

Le tre versioni della storia di Cesira ci ricordano che se l’atto antico di ri-creare la realtà attraverso la parola e i suoi funambolismi addolorati è l’elemento fondante dell’identità umana, gli strumenti della tecnologia contemporanea che vorrebbero riprodurre questa funzione danno invece forma a un meccanismo mistificatorio. A un malinteso semantico-figurativo che riesce soltanto a replicare le immagini scomponendole in una miriade di puntini luminosi. E questi puntini, guardati a ragionevole distanza, si assemblano negli algidi simulacri, svuotati di senso, che possiamo anche fissare per ore come dei totem. Savelli ha rappresentato questo processo trasmettendo le azioni sceniche in presa diretta sul televisore rétro poggiato sul bidone della munnezza, in modo da creare una Signora Morli una e due: le invenzioni lessicali e la carnalità mortificata della prima sovrapposte, o contrapposte, al fantasma digitale della seconda.

Fonte: Scenario


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