La RAI iniziò le trasmissioni televisive domenica 3 gennaio 1954; tuttavia, nacque davvero nel ’61, con l’arrivo sulla plancia di comando di Ettore Bernabei. Democristianissimo, fanfaniano e personaggio simbolo del cattolicesimo democratico, Bernbei arrivò alla guida della RAI in seguito all’esaurirsi della stagione del centrismo, dopo la tragica parentesi di Tambroni e alla vigilia del centrosinistra, nel periodo di massimo ampliamento delle maglie dell democrazia e nel pieno del boom economico e demografico. Era un’Italia felice, speranzosa, l’Italia con la Cinquecento, i capelli al vento, le prime vacanze estive e la certezza che le nuove generazioni sarebbero state assai meglio rispetto alle precedenti.
Ettore Bernabei portò in RAI il suo metodo e la sua genialità, valorizzando il meglio della cultura italiana, compresi intellettuali corrosivi e non certo vicini alla DC, e realizzando programmi destinati a entrare nell’immaginario collettivo: da Studio Uno a Non è mai troppo tardi, per non parlare poi di RT, Tv7 e altri gioielli, fra cui il mitico Processo alla tappa di Zavoli che portò il ciclismo nelle case degli italiani e ne affidò il commento a personalità di altissimo livello.
Il grande varietà, gli sceneggiati tratti dai classici della letteratura mondiale, il teatro, il favoloso Maigret interpretato da Gino Cervi e prodotto, fra gli altri, da un certo Andrea Camilleri, Terza B facciamo l’appello di Biagi, la bellezza delle gemelle Kessler e l’ombelico scoperto della Carrà: la RAI di Bernabei era certamente in linea con la morale dell’epoca, a tratti bigotta e oggi assolutamente improponibile, ma aveva anche dei guizzi d’irriverenza che da troppo tempo nessuno può più permettersi.
Non bisogna tacere sulla censura, a cominciare da quella di cui furono vittime Dario Fo e Franca Rame per aver toccato i fili dell’alta tensione con sketch sempre più irriverenti durante Canzonissima, e non si può certo dire che quella RAI fosse pienamente libera e indipendente; fatto sta che venne scelto per la guida del Telegiornale persino Enzo Biagi, “l’uomo sbagliato al posto sbagliato”, per sua stessa ammissione, il quale, non a caso, compì un’autentica rivoluzione e cambiò per sempre il modo di fare informazione in TV.
Ettore Bernabei è stato un grande dirigente d’azienda anche all’infuori della RAI, dapprima alla Italstat e poi fondando la Lux Vide, una delle principali case di produzione cinematografiche, produttrice, fra gli altri, del popolarissimo Don Matteo.
Diciamo che ai suoi tempi vigeva davvero la regola non scritta dei “due democristiani, un socialista, un comunista e uno bravo”: una sintesi ironica ma abbastanza rispondente alla realtà. C’erano gli equilibri politici da rispettare, un atlantismo feroce, il tabù della mafia, una democristianità d’obbligo ma, al tempo stesso, il concetto di merito aveva ancora una sua ragione di esistere, senza trasformarsi nel darwinismo sociale introdotto dal diffondersi della predicazione meritocratica, ossia il trionfo del fare parti uguali fra disuguali.
Bernabei se n’è andato cinque anni fa, al termine di un’esistenza lunga novantacinque anni. Ebbi la fortuna di incontrarlo l’anno prima che se ne andasse e, pur avendo ormai superato i novanta, aveva ancora un’invidiabile lucidità e lo sguardo rivolto al futuro. Pochi protagonisti hanno contribuito come lui alla ricostruzione e alla crescita sociale e culturale del nostro Paese.
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