Lo spirale di violenza per mettere il bavaglio alla voce della verità in Bielorussia si fa sempre più fitto. Ieri abbiamo assistito a un caso tanto grave sa apparire perfino surreale nel contesto europeo: il dirottamento di un aereo civile, scortato da un caccia militare fino all’aeroporto di Minsk per arrestare il blogger Roman Protasevich, 26 anni, ex redattore del canale telegram Nexta. Nexta è un’emittente indipendente che ha svolto un ruolo molto importante durante le proteste del 2020 informando la gente in tempo reale di quanto stava accadendo sulle strade della capitale e nel paese. Inoltre ha pubblicato le testimonianze e le immagini delle persone che avevano subìto le torture nei carceri bielorussi. Ma quello che probabilmente ha dato più fastidio al regime dittatoriale , sono alcune inchieste su Aleksandr Luskashenko svolte e pubblicate da Nexta. Il giornalista Vladimir Chudentsov che aveva collaborato a uno dei documentari è stato arrestato nel 2019 e condannato 6,5 anni di reclusione per i capi d’imputazione che non hanno niente a che fare né con la libertà di stampa né con il suo stile di vita.
L’arresto di Roman Protasevich è il culmine di un attacco senza precedenti ai media indipendenti bielorussi dalla parte del regime dittatoriale, cominciato 18 maggio con il raid negli uffici della testata indipendente tut.by, la più grande dei media indipendenti bielorussi con il 62% di copertura mediatica nel paese e 3,3 milioni di utenti unici. Le perquisizioni negli uffici e a casa della caporedattrice Maryna Zolatava sono finite con l’arresto dei vertici, il blocco del sito internet e il sequestro dei server della risorsa. Undici dipendenti, tra i quali Maryna Zolatava, la redattrice Volha Lojka e la giornalista Alena Taukachova, sono stati arrestati. La testata, seppur “decapitata”, continua la sua attività sui social.
Il regime non si fa scrupoli a usare ogni espediente possibile per far tacere chi racconta i suoi crimini. Sempre la settimana scorsa i social filogovernativi hanno diffuso i miei dati personali e quelli dei miei genitori e della mia famiglia con l’invito rivolto al pubblico di sentire loro e chiedere che cosa pensano del mio attivismo.
Con questa azione le autorità vogliono farmi tacere. Cercano di farlo nella maniera più ignobile possibile: facendo leva sulla mia famiglia. Si vede che l’impegno di raccontare in italiano al pubblico italiano quanto sta succedendo in Bielorussia dà fastidio a chi perpetua le repressioni e le continue violazioni dei diritti umani in Bielorussia. Perciò lo prendo come un segno di riconoscimento che non fa altro che motivarmi ancora di più. Fin dall’inizio delle proteste pacifiche in Bielorussia ho sempre visto il mio ruolo in Italia come una specie di prolungamento della società civile bielorussa all’estero, una cassa di risonanza con il meccanismo della traduzione incorporato. Non posso fermarmi, quando in Bielorussia la gente pacifica e indifesa è completamente alla mercé del regime violento e senza scrupoli.
Vorrei esprimere la mia profonda gratitudine tutti quelli che mi sono vicino in questo momento delicato, ed in particolare all’associazione Articolo 21, il Sindacato dei giornalisti Trentino-Alto Adige e la FNSI che hanno subito reagito con una serie di azioni concrete.