Bobby Sands è un personaggio complesso, difficile, controverso, un eroe per gli irlandesi e un criminale per gli inglesi. Ma chi è stato davvero Bobby Sands? Senz’altro un ragazzo coraggioso, capace di lasciarsi morire dopo sessantasei giorni di straziante sciopero della fame, al termine di un’esistenza breve e spesa interamente al servizio della causa indipendentista. Sono trascorsi quarant’anni da allora, era il 5 maggio 1981, e non è semplice far comprendere alle nuove generazioni cosa siano stati quegli anni e cosa abbiano rappresentato nell’immaginario collettivo. Basti pensare alla celebre canzone degli U2 sulla domenica di sangue (“bloody sunday”, 30 gennaio 1972) che segnò nel profondo la città di Belfast. Basti pensare a cosa abbia rappresentato per molti prigionieri l’inferno di Long Kesh. Basti pensare agli abusi, alle torture, al gelo, alle perquisizioni corporali e all’annullamento dell’essere umano che la generazione di Sands è stata costretta a patire, negli stessi anni in cui l’America Latina era sottoposta al martirio dell’Operazione Condor ed echi dei campi di sterminio nazisti si avvertivano in numerose aree del mondo.
L’indipendentismo irlandese, che potrebbe tornare d’attualità dopo la Brexit, è stato uno dei maggiori drammi del Novecento, negando a un popolo la propria identità e costringendolo a riconoscersi in una bandiera che sentivano estranea, per non dire nemica. A livello di passione civile, sostegno popolare e intensità, non è stato un fenomeno dissimile dell’indipendentismo basco, nulla a che vedere con il separatismo catalano attuale, in quanto non erano in gioco interessi economici ma unicamente d’appartenenza e di ripudio verso un Paese considerato oppressore.
Bobby Sands fu arrestato la prima volta nel ’72, la seconda nel ’76, e dal blocco H di Long Kesh ha combattuto la sua battaglia, portato avanti le sue idee e realizzato la sua rivolta disperata e perdente, destinata alla sconfitta e, proprio per questo, ancora più eroica.
Non si può giustificare l’operato dell’IRA, sia chiaro, ma non si possono nemmeno negare le ragioni di un popolo in lotta per i propri diritti, come vorrebbe oggi il manicheismo in auge, tendente a decidere a tavolino i buoni e i cattivi a seconda delle convenienze del momento.
Bobby Sands aveva ventisette anni quando il suo cuore ha smesso di battere. Una volta affermò: “Verrà il giorno in cui tutto il popolo irlandese avrà il desiderio di libertà. Sarà allora che vedremo sorgere la luna”. Abbiamo assistito, il 10 aprile 1998, in occasione del venerdì santo, a uno storico accordo di pace fra il governo del Regno Unito e il governo della Repubblica d’Irlanda, sicuramente l’azione migliore della triste stagione di potere di Blair.
Forse la memoria di quei giorni è troppo lontana perché se ne comprenda a pieno la sostanza. Sembra incredibile che a Belfast esplodessero le bombe e si verificassero massacri, ma questo è stato. Bobby Sands ha pagato il prezzo di una generazione che, globalmente, credeva ancora in qualcosa ed era disposta a sacrificare se stessa in nome dei propri ideali. Non ha senso giudicarlo alla luce della realtà contemporanea, non avendo vissuto quell’epoca e quelle atmosfere. Resta la testimonianza di chi sapeva di non poter prevalere contro una forza soverchiante. A quarant’anni di distanza dalla sua scomparsa, merita ancora di essere ascoltata.
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