Diversi, diversissimi, Bob Marley ed Ezio Bosso sono accomunati dal fatto di essersene andati, a trentanove anni di distanza l’uno dall’altro, nel mese di maggio. Quarant’anni fa ci diceva addio il mito del reggae, l’interprete della musica che fece sognare la Giamaica e ne cantò le sorti, le speranze, la rabbia e la bellezza, interpretando il desiderio di rivolta contro ogni oppressione e l’ansia di libertà di un popolo e, con esso, di tutti i popoli del mondo. Un addio doloroso, dunque, vissuto dalla comunità internazionale come la sconfitta di un sognatore, costretto ad arrendersi a soli trentasei anni a causa di un maledetto melanoma, al termine di un’esistenza breve ma potentissima, vissuta intensamente, costituendo, con la sua arte, un punto di riferimento per chiunque coltivasse un’altra idea di mondo.
Il torinese Ezio Bosso, dal canto suo, è stato costretto ad alzare bandiera bianca un anno fa, ad appena quarantotto anni, vinto dalla malattia neurodegenerativa dalla quale era affetto dal 2011, senza tuttavia aver mai rinunciato a portare la sua arte semplice e meravigliosa nelle nostre case, senza mai essersi dimenticato delle sue umili origini, senza aver smesso per un solo istante di narrare il mondo attraverso le sue composizioni e la sua capacità unica di dirigere l’orchestra.
Li divideva tutto, ribadiamo, ma ad accomunarli era il senso di una missione, la speranza di un avvenire migliore, la capacità di incantare, di sconfiggere le avversità, di lottare contro tutto e tutti, di non fermarsi mai, di non far sì che la vita scorresse loro davanti senza afferrarne l’essenza. Entrambi, poi, hanno lasciato in noi la percezione del vuoto, il senso profondo di una mancanza che non è solo artistica ma complessiva, come se una luce si fosse spenta, un addio si fosse consumato, l’ennesimo sogno fosse andato in frantumi e nelle nostre vite fosse entrato uno strazio troppo grande per essere descritto a parole.
Bob Marley ed Ezio Bosso, probabilmente si saranno incontrati lassù e avranno sorriso della propria diversità, del proprio aver affrontato ogni battaglia con gioia e profonda convinzione, di essere stati, ciascuno a modo suo, una fonte d’ispirazione per la collettività. La loro musica è rimasta: bellissima, immortale, più forte di ogni dolore, resistente e combattiva come solo la poesia dei grandi riesce a essere.
Li abbiamo amati e li ricordiamo insieme, com’è giusto che sia. Specie di questi tempi, non possiamo rinunciare a tante meraviglia.
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