Tra Pandemia e Pandemonio c’e’ anche il  Mezzogiorno d’Italia

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Uno sguardo acuto e scevro di pregiudizi ,che si posasse sul mondo per scrutarlo, non potrebbe non scorgere che oltre a essere nel pieno di una pandemia siamo anche nel pieno di un pandemonio.

Ambedue hanno la medesima origine: il sistema economico in cui viviamo e nel quale l’hanno fatta da padroni un “Capitalismo predatorio ed estrattivo” e la “Grande Finanza Globale”.

La pandemia è manifestazione e conseguenza della crisi del sistema ambientale devastato da violenze incredibili; il pandemonio è manifestazione e conseguenza della crisi dei sistemi sociali.

Questi sono devastati da spropositate  diseguaglianze tra paesi e classi sociali che hanno posto il 10% dell’umanità in condizioni di “povertà assoluta” e hanno  dato  origine a flussi migratori molteplici e imponenti. In concomitanza si è avuta  anche la crisi dei sistemi politici ed istituzionali   colpiti dalla sopraffazione dei poteri economici e quindi sono andate in   crisi anche  le forme della rappresentanza e della democrazia.

Si tratta dunque non di semplici crisi congiunturali e neppure di singole  crisi strutturali, ma di una complessiva crisi di sistema. Che non si supera cercando una soluzione all’interno dello stesso sistema ma soltanto  con soluzioni da ricercarsi e realizzarsi al di fuori del sistema in crisi.

Si discute da anni se si tratti o meno della crisi del capitalismo. Molti propendevano negli anni scorsi per  questa tesi e non pochi ritengono anche ora che sia così. Ma io non lo credo. A me pare che il capitalismo goda di ottima salute. Se 7 milioni ed 850 mila arciricchi, cioè l’un per mille della popolazione mondiale che conta 7 miliardi ed 850 milioni di esseri umani, si sono impadroniti della metà di tutta la ricchezza che esiste al mondo;  se – come dichiara l’Oxfam  – 2.153 superricchi possiedono quanto altri 4,6 miliardi di persone; se nel 2019 – come riportava Il Sole 24 Ore – la ricchezza dei più ricchi è aumentata alla velocità di 2,5 miliardi di dollari al giorno; se,infine,dal 18 marzo 2020 (inizio della pandemia) al 18 marzo 2021  i 657 statunitensi con un patrimonio superiore ad un miliardo di dollari hanno potuto  aumentare la propria  ricchezza del 44,6%cioè di 1.300 miliardi di dollari; se è vero tutto questo, come si fa a dire che il Capitalismo è in crisi?

In crisi è tutto il resto del mondo, non il Capitalismo.

E’ vero che il Capitalismo Predatorio ed Estrattivo sta distruggendo la gallina dalle uova d’oro di cui si nutre, cioè l’ambiente che tratta come un osso da spolpare; è anche vero che a furia di mungerla sta sfinendo pure la mucca da cui estrae  tanto latte,cioè le società dei diversi paesi che deruba impoverendo. E’ vero quindi  che se non si ferma da solo, prima o poi   lo travolgerà una catastrofe  che travolgerà anche noi. Potrà darsi perciò che un modo per evitare il disastro lo escogiti. Ma possiamo essere sicur@ che se lo farà e riuscirà nell’intento si darà cura di salvare se stesso e di mantenere  indenne il più possibile   la sua pacchia. Certo non si preoccuperà d’altro, non si curerà di noi. Ad  uscire da questo  pandemonio dobbiamo provarci da soli.

Con il vaccino, come ci dicono, si esce alla pandemia. Dal pandemonio come si esce?

Sono in tant@ a provarci. I primi che mi vengono in mente sono: il Forum delle Diseguaglianze di Fabrizio Barca, con le sue “15 proposte per la giustizia”; il Movimento delle Cooperative di Comunità ,con il suo  motto “lavorare insieme per il bene comune”“; la Piattaforma per l’Economia Circolare, che mette in rete organismi pubblici, laboratori di ricerca ed entità economiche  che hanno in comune l’interesse per il paradigma delle 3 ERRE, Recupero, Restauro, Riciclo; Lega Ambiente, con le sue 10 proposte per sviluppare l’economia circolare in Italia.

Cosa hanno in comune? Anzitutto che la loro finalità prioritaria non è il profitto, ma la  giustizia sociale, il bene comune, la riconciliazione dell’economia (cioè del modo di produrre, distribuire e consumare) con l’ambiente.

Si può dare così  un addio definitivo al Capitalismo?   Non a tutto né del tutto,  credo, se si vuole essere realisti e non abbandonarsi  ad un  radicalismo che rischierebbe di essere sterile. Ci vuole discernimento, perché come ammonisce un vecchio proverbio “chi troppo vuole, nulla stringe”.   

<Non tutta l’economia si va globalizzando> disse un pomeriggio di molti anni fa,(poteva essere, credo, il1993 o il 94) nella sala riunioni della Fondazione Idis Città della Scienza a Napoli   il prof. Adriano Giannola, docente di Economia Politica alla Università Federico II, oggi presidente della Svimez, l’Associazione per lo Sviluppo del Mezzogiorno.

Così è stato. Non tutta l’economia si è globalizzata,  la mutazione parossistica non ha  investito  tutto il Capitalismo. Vi sono ancora strutture, imprese ed imprenditori che non hanno perso il senso della misura e delle proporzioni e non sono stati stravolti dalla sindrome dell’onnipotenza. Insomma ci si può ancora ragionare, almeno con una parte. E’ quello che un altro studioso, Giuseppe Avallone, chiama “Capitalismo moderato”, che verosimilmente  è anche suscettibile di riconversione ambientale. Di quella  vera,però. Intendendo per tale non la green economy, che è cogliere nell’ambiente una nuova occasione per fare affari  con una spennellata di verde;  e nemmeno  limitarsi  ad  inquinare  di meno e  far “pagare di più chi inquina di più”, come sosteneva giorni fa nella trasmissione di Rai Radio3 “tutta la Città ne  parla”un signore che  sperava così   di mantenere inalterate le sue le sue cose e continuare a produrre profitto  impiegando,  l’ambiente, cioè la natura, come materia prima gratuita. Ma di quella conversione  basata sulla scoperta  d’ essere parte dell’ambiente  e che il territorio non è un serbatoio di risorse da sfruttare ma uno spazio vitale di cui siamo parte anche noi  e le nostre strutture produttive,  per cui  stiamo bene e viviamo bene solo se il territorio vive e sta bene .

Una volta che il Capitalismo Moderato avrà compiuto   la propria   conversione ecologica, si sarà  realizzata una condizione necessaria per uscire dal pandemonio ma non ancora sufficiente.   

Per uscire dal pandemonio ci vorrà  anche altro. Occorrerà un’alleanza fra i soggetti che ho nominato prima ed anche altri che siano o si pongano sulla medesima lunghezza d’onda e tutt’insieme mettano in piedi un’<altra economia>, diversa anche da quella del Capitalismo-moderato-conciliato-con-l’am-biente. Un’economia radicata nei territori di insediamento nel senso di appartenervi e di valorizzarli; autocentrata e cioè  non a rimorchio di qualche locomotiva collocata altrove, ma che abbia in sé i fattori propulsivi;che miri prioritariamente al bene comune, alla giustizia sociale coniugata alla giustizia ambientale e perciò sia circolare e che si ponga a servizio delle comunità.

Non siamo alla Fiera dei Sogni e delle Utopie. Ce lo ha spiegato, ad esempio,  Francesca Cappellari della Piattaforma dell’Economia Circolare nella trasmissione di Radio 3 appena citata e lo dimostrano le innumerevoli piccole esperienze già esistenti di una economia diversa.

Cosa c’entra  il Mezzogiorno d’Italia con tutto ciò? C’entra, perché si presta ad essere un’area privilegiata per l’insediamento di un’economia del genere. Per più motivi.

In primo luogo perché un’economia con le caratteristiche descritte è senza dubbio in sintonia con il “genius loci” originario del Meridione. Lo attestano, oltre a tutta la letteratura sulla questione meridionale, due scrittori contemporanei del Sud,  ambedue purtroppo morti. Uno di recente, Franco Cassano, e l’atro,assai prematuramente, alcuni anni fa, Mario Alcaro, autori rispettivamente di Pensiero Meridiano e L’identità meridionale.

Inoltre  perché, se obiettivo  della politica nazionale è la riduzione  drastica delle diseguaglianze e delle ingiustizie, non si  può  non eliminare  il divario Nord-Sud  che è la più grande diseguaglianza ed ingiustizia esistente nel nostro Paese dentro la quale  raggiungono  l’acme tutte le altre  diseguaglianze ed ingiustizie, da quella di genere a quelle di classe, a quelle tra le  generazioni.

Infine perché “Sud e riequilibrio territoriale” sono una delle tre priorità trasversali del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, sicché le risorse finanziarie per impiantare una nuova economia dovrebbero poter essere mobilitate.

Ovviamente   il Mezzogiorno va infrastrutturato  tanto per quel che riguarda le comunicazioni interne, quanto quelle esterne, poiché  economia autocentrata non vuol dire autarchica e chiusa in se stessa, ma aperta e proiettata all’esterno.

Il Piano Nazionale di  Ripresa e Resilienza potrà, dovrà essere  dunque una nuova occasione, la seconda,  per   affrontare la Questione Meridionale ed finalmente unificare il Paese anche sotto il profilo economico.


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