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Rapporto annuale di Reporter senza frontiere, informazione ostacolata in oltre 130 Paesi

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In oltre 130 paesi del mondo fare giornalismo è molto pericoloso. È quanto emerge dal rapporto 2021 di Reporter senza frontiere diffuso oggi, in una data altamente simbolica.
Dieci anni fa, il 20 aprile del 2011,  con un colpo di mortaio moriva a Misurata, in Libia, Tim Hetherington.
Tim era un grande fotoreporter, uomo straordinario e soprattutto mio amico.
A distanza di 10 anni, dopo la rabbia e lo sconforto, resta la memoria dell’esempio virtuoso di buon giornalismo, che gli era valso riconoscimenti importanti come il World press Photo nel 2007 e il premio come miglior documentario al Sundance Film Festival  nel  2010, ma soprattutto dell’umanità immensa che trasudava da ogni suo poro.
Oggi fare questo nostro bistrattato ma essenziale mestiere con la determinazione e il coraggio di Tim è sempre più difficile.
Con la pandemia di Covid-19, poi, la situazione si è ulteriormente aggravata, come  denuncia Rsf sottolineando quanto, in una fase in cui la crisi sanitaria sta rendendo ancora più difficile la copertura informativa, tanti governi attuano vere e proprie ‘limitazioni’ del diritto alla libertà di stanpa,
Secondo la classifica mondiale annuale pubblicata oggi, il 73% dei 180 paesi valutati sono caratterizzati da situazioni ritenute “gravissime”, “difficili” o “problematiche” per la nostra professione.
Solo 12 paesi su 180, ovvero il 7%, contro l’8% del 2020, mostrano una “buona situazione”.
“Una ‘zona bianca’ che non è mai stata così ridotta dal 2013″ è l’allarme di Rsf secondo cui “la pandemia di Covid-19 ha rappresentato per i governi “una forma di opportunità’ per limitare la libertà di stampa”, come ha sottolineato  il segretario generale di Rsf, Christophe Deloire.
Secondo i dati, la repressione si è aggravata soprattutto nei Paesi dove il diritto all’informazione era già compromesso, come l’Arabia Saudita e la Siria, rispettivamente al 179 e al 171esimo posto della classifica. L’emergenza Covid ha anche “provocato un enorme blocco degli accessi al territorio e alle fonti per i giornalisti”.
Deloire ha inoltre evidenziato come la situazione sia “tanto più preoccupante in quanto il giornalismo è il principale baluardo contro la viralità della disinformazione oltre confine, sulle piattaforme digitali e sui social network, a volte alimentata dal potere”.
basti pensare ai casi dei presidenti Jair Bolsonaro in Brasile (111/ma posizione, -4) e Nicolas Maduro in Venezuela (148/ma posizione, -1).
Tra i paesi che si sono particolarmente accaniti contro gli operatori della stampa, l’Iran (174/ma posizione, -1) dove si sono moltiplicate le condanne dei giornalisti “per minimizzare meglio il numero di morti legate al Covid-19” è la convinzione di Rsf.
Stesso discorso in Egitto (166/ma posizione) che vieta la pubblicazione di dati sulla pandemia diversi da quelli diffusi dal ministero della Salute.
Infine va segnalato il caso della Malesia, Paese che segna l’arretramento più netto (119/ma posizione, -18) nella classifica della libertà di stampa approvando un decreto anti-fake news che concede al governo il diritto di imporre la propria versione della verità.
Nel rapporto c’è spazio anche  per l’Ungheria (92/ma posizione, -3), dove il regime di Viktor Orban “porta avanti in modo sfacciato la repressione della libertà di stampa, le informazioni sul coronavirus sono ‘bloccate’ in particolare dalla legislazione di emergenza in vigore da marzo 2020 che criminalizza la diffusione di false informazioni” scrive Rsf.
Nel silenzio, a parte qualche voce solitaria e poco efficace, indecente dell’Europa, aggiungiamo noi.
Come è da biasimare la mancanza di interventi da parte delle autorità italiane in merito ad attacchi e continue violazioni dei diritti dei giornalisti “regolarmente minacciati e presi di mira non solo dalla criminalità organizzata ma anche dagli esponenti di movimenti politici e dai ‘negazionisti’ del Covid-19” come sottolinea Reporter Senza Frontiere  nel rapporto che vede il nostro paese stabile al quarantunesimo posto, ‘piazzandosi’ in “zona gialla”.
”Una ventina di giornalisti italiani vivono oggi sotto la protezione permanente della polizia a causa di intimidazioni, minacce di morte e attacchi contro di loro, formulati e perpetrati in particolare da organizzazioni criminali e reti mafiose” si legge nel report di Rsf “la violenza contro i professionisti dell’informazione continua ad aggravarsi, soprattutto nell’area di Roma e nel sud del Paese”.
Articolo 21, oltre a rilanciare il rapporto, il prossimo 3 maggio sarà in piazza Montecitorio nella Giornata mondiale della libertà di stampa, per chiedere che anche in Italia siano pienamente garantiti i diritti alla libertà di stanpa, alla riservatezza delle fonti e  all tutela quando si è sottoposto a minacce fisiche e virtuali, fenomeno sempre più diffuso contro giornalisti e giornaliste che scrivono fatti e inchieste scomodi.


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