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Lavoro, dignità e libertà dei giornalisti alla vigilia del 3 maggio. Lorusso: “Troppe leggi ferme da anni, ora un cambio di passo”

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Lavoro, libertà, dignità nell’informazione: forse mai come quest’anno se ne è sentito il bisogno. Sarà stata colpa della pandemia e di una necessaria (ma non sempre) contrazione della libertà di accesso dei giornalisti alle fonti e/o di una sostanziale limitazione dell’agibilità dell’informazione. Sarà stata l’attenzione verso altri temi. O sarà stato quel ritrovarsi (ormai frequente) dentro inchieste che non riguardano i giornalisti dove, pure, i giornalisti vengono intercettati. O sarà il risveglio di nostalgie neofasciste nella rete e fuori. Comunque sia i giornalisti si avvicinano al giorno della Festa dei lavoratori (il primo maggio) e a quello dedicato alla libertà di stampa (il 3 maggio) con la consapevolezza che l’asticella del diritto di informare si sia alzata molto, troppo. Nella settimana che precede entrambi gli appuntamenti il segretario della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Raffaele Lorusso, affronta i tanti problemi della professione e di ciò che le gira attorno ultimamente.

In vista del 3 maggio si stanno accumulando una serie di nodi afferenti l’informazione, quanto è lungo questo elenco?

I temi delle libertà, dei diritti e della dignità del lavoro devono tornare al centro del dibattito politico. Ci sono troppi provvedimenti fermi in Parlamento, per i quali da anni ci si aspetta un passo in avanti. A parole, tutti considerano l’informazione un settore fondamentale per la tenuta delle istituzioni democratiche. Nei fatti, non si fa nulla né sotto il profilo della tutela effettiva delle libertà di informazione e del diritto di cronaca, penso alle proposte di legge per l’abolizione del carcere per i giornalisti e per il contrasto alle querele bavaglio, né per dare dignità al lavoro giornalistico, contrastando il precariato. Sull’equo compenso, così come sul superamento della figura dei co.co.co, che rappresentano la forma più diffusa di sfruttamento del lavoro, non c’è la volontà di adottare alcuna decisione. Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha dichiarato che il Piano nazionale di ripresa e resilienza è l’occasione per costruire una nuova Italia. Peccato che nel Pnrr si parli di informazione soltanto di sfuggita, in riferimento agli incentivi per la digitalizzazione. Invece, sarebbe da chiedersi se nel Paese che verrà l’informazione avrà ancora il ruolo centrale che le assegna l’articolo 21 della Costituzione o, se invece, l’obiettivo sia quello di accelerarne il declino per rendere sempre più debole il ruolo del mediatore, facendo crescere il potere delle piattaforme digitali. Le azioni intraprese dal governo sembrano andare in quest’ultima direzione. Prevedere incentivi per la transizione digitale senza porsi il problema della lotta alle diseguaglianze, della tutela del lavoro e della lotta al precariato significa tornare alla stagione dei finanziamenti a pioggia. Questa impostazione va contrastata e cambiata: per questo occorre mobilitarsi. L’editoria ha bisogno di riforme strutturali. Nei primi anni ’80 del ‘900, per affrontare il passaggio epocale dal piombo alla composizione a freddo, fu approvata la legge numero 416 del 1981, che fu il risultato del lavoro di insigni giuristi e costituzionalisti, oltre che della spinta della Fnsi. Quella legge è ancora in vigore, ma non si può pensare di affrontare questo nuovo passaggio epocale, ossia la transizione digitale, con norme figlie di un’altra stagione. Serve una nuova legge per l’editoria: su questo vorremmo confrontarci con il governo.

Pensa che si potranno accelerare delle vere riforme in tema di tutela del lavoro dei giornalisti?

Ce lo auguriamo. Serve, però, un cambio di passo. Non bastano le dichiarazioni di solidarietà ai giornalisti minacciati. Chi può decidere, e la politica può farlo, deve adottare provvedimenti.

Quanto può pesare questa situazione sul racconto che “dobbiamo” fare del post pandemia, cosa riusciremo a scrivere?

Questa situazione, nel medio e lungo periodo, rischia di rappresentare un danno non soltanto per i giornalisti, ma anche per l’opinione pubblica italiana. La gara delle testate giornalistiche ad espellere giornalisti dal mondo del lavoro e il ricorso massiccio al lavoro precario porteranno ad un’informazione sempre più debole, quindi produrranno cittadini meno informati. Sarà un danno per la democrazia italiana. Il post pandemia richiederà un ripensamento di modelli economici basati sul predominio della finanza a discapito del lavoro e dei diritti. Occorre rilanciare l’occupazione e le dinamiche salariali compresse da politiche di austerità che hanno allargato a dismisura le diseguaglianze e concentrato la ricchezza nelle mani di sempre meno persone. Ora più che mai, c’è bisogno di un’informazione libera e autorevole.

Coniamo uno slogan tutto italiano per il 3 maggio?

Perché no? Si accettano proposte.


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