Con l’uccisione del documentarista David Beriáin, da sempre impegnato su terreni difficili di crisi e di conflitto, dell’operatore Roberto Fraile e di un attivista irlandese che li stava aiutando a realizzare un documentario sulla caccia di frodo in Burkina Faso, emerge ancora una volta quanto sia pericoloso fare il giornalista oggi.
A pochi giorni dalla presentazione del rapporto d Reporters senza frontiere sulla situazione della libertà di stampa nel mondo torna più impellente che mai il tema della mancanza di tutela per i giornalisti impegnati in prima linea.
Questo ennesimo episodio di violenza contro operatori dell’informazione evidenzia quanto sia sempre più difficile e rischioso, non solo in teatri di guerra, svolgere la nostra professione.
Beriáin, autore di servizi / reportage in giro per il mondo tra cui “Il mondo dei narcos”, e Fraile, cameraman esperto e abituato a lavorare in zone di guerra, sono solo gli ultimi di una lunga serie di reporter che hanno perso la vita in circostanze legate allo svolgimento della professione.
Il dato più preoccupante rispetto agli anni precedenti, è quello relativo ai giornalisti morti non in zone di conflitto, il 64%, circa i due terzi delle vittime del 2020.
Un recente rapporto delle Nazioni Unite ha evidenziato che negli ultimi quattordici anni quasi 1.200 giornalisti sono stati uccisi per aver riferito le notizie e portato informazioni al pubblico. In nove casi su dieci gli assassini sono rimasti impuniti.
Ma resta comunque la realtà degli inviati di guerra quella più esposta, non essendo mai stato predisposto un meccanismo concreto per l’applicazione del diritto internazionale sulla protezione dei giornalisti che ormai sono esposti a una doppia minaccia, come ha evidenziato il segretario generale di Rsf, Christophe Deloire: gruppi non statali che compiono impunemente estorsioni e violenze, ma anche Stati che non rispettano i loro obblighi verso la stampa.
Per questo Deloire ha chiesto che l’Onu designi un rappresentante speciale per la protezione dei giornalisti. E a fronte del rischio a cui sono esposti quei colleghi che svolgono un ruolo estremamente importante, sia nella copertura di notizie da realtà altrimenti oscurate sia nella tutela dei diritti umani, sarebbe auspicabile che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite prendesse sul serio tale opzione.
Il lavoro di quanti garantiscono visibilità a chi denuncia le violazioni a danno delle minoranze o delle fasce deboli e fungono da cassa di risonanza per tutte le voci, anche quelle indigeste ai poteri forti, affinché possano essere ascoltate, deve essere tutelato.
Anche quando i giornalisti sono consapevoli di rischiare sulla propria pelle e nonostante questo non si tirano indietro.
Ho avuto la fortuna di conoscere colleghi che di fronte a situazioni di grande criticità e questioni off-limits non si sono arresi. Da loro ho imparato che bisogna avere la forza di denunciare le vessazioni e gli abusi che avvengono in ogni luogo perché lasciare che siano perpetrati impunemente e che rimangano nel silenzio è, come diceva Martin Luther King, una minaccia per la giustizia ovunque. Andando in Sudan nel pieno delle rivolte contro il regime dell presidente dittatore Omar Hassan al-Bashir io stessa ho corso dei rischi, ma sono riuscita a tornare a casa indenne grazie all’intervento del ministero degli Esteri italiano quando fui sequestrata dai sevizi di sicurezza sudanesi.
Altri giornalisti sono stati meno fortunati. Colleghi incrociati un paio di volte, come Gilles Jacquier, fotoreporter di France 2 ucciso sei anni fa in Siria. O che conoscevo bene come Tim Hetherington, con il quale condividevo la passione per il Darfur, massacrato da un colpo di mortaio a Misurata, in Libia, il 20 aprile del 2011.
E proprio pensando a storie e persone come Tim, alla sua intensa e incondizionata capacità di raccontare le violazioni dei diritti umani, ritengo fondamentale rilanciare e supportare la richiesta di Reporters sans frontières affinché giornalisti coraggiosi e appassionati possano continuare nell’opera di informare su storie che altrimenti non conosceremmo mai.