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Il pentimento del boss Grande Aracri potrebbe far luce sui rapporti fra ‘ndrangheta e politica nazionale

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Sono tanti i processi in corso in diverse regioni dove il clan Grande Aracri di Cutro, provincia di Crotone, è coinvolto. Gli “affari” del capoclan Nicolino Grande Aracri hanno invaso quasi tutto il nord, dalla Lombardia al Veneto, passando per l’Emilia Romagna come raccontano le sentenze del processo “Aemilia” in cui sono stati ricostruiti tutti gli affari illeciti della cosca cutrese e come sia riuscita, attraverso minacce, estorsioni ed omicidi a diventare una delle cosche più potenti nel mondo. Dal dibattimento nei vari gradi di giudizio è emerso di come fosse ben infiltrata nel comune di Brescello ed in altri della bassa padana oltre che nel capoluogo Reggio Emilia. Così come a Brescia e provincia. La gestione del traffico di droga e delle sale gioco; la produzione di calcestruzzo e gli appalti con macchine per movimento terra. Ora il grande capo ha deciso di collaborare con la giustizia, come rivela il Quotidiano del Sud.

Don Nicolino era abile a tessere tele con i colletti bianchi della pubblica amministrazione, della politica, della massoneria deviata. Questo emergerebbe dalle inchieste condotte negli ultimi mesi dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri, dove i rapporti con politica, massoneria deviata e magistratura corrotta erano ben consolidati, quasi a creare un “mutuo soccorso” criminale. Inchieste che hanno fatto seguito oltre al già citato processo Aemilia anche al processo Kyterion (l’antico nome greco del comune di Cutro) che ha disegnato l’intera mappa del clan con le sue ramificazioni in più di trent’anni di attività.

E’ difficile al momento fare ipotesi sul perché don Nicolino abbia deciso di diventare collaboratore di giustizia. Non si conosce cosa abbia già rivelato o stia rivelando da circa un mese ai magistrati nel carcere di Opera a Milano, dove è rinchiuso dopo le condanne a diversi ergastoli. Questo si saprà e soprattutto si vedrà nei prossimi mesi. E’ possibile che il suo pentimento sia maturato dopo quello di un altro collaboratore di giustizia, Andrea Mantella. Nelle centinaia di pagine di verbale, il vibonese Mantella ricostruisce fatti, circostanze di illeciti, rapporti con massoneria deviata e politica, in cui fa nomi di avvocati e magistrati, parla di “processi aggiustati” nelle province calabresi su cui sta ancora indagando, per la legittima suspicione, la procura di Salerno.

Un esercito sul quale poteva contare don Nicolino. Ora a tremare saranno in tanti, dai suoi colonnelli ai soldati semplici; i colletti bianchi formati da professionisti ed imprenditori, fino a toccare quel livello spesso soltanto sfiorato delle “menti raffinatissime” come le definiva Giovanni Falcone, o quei livelli istituzionali che se solo toccati “prima o poi te la faranno pagare”, come ha dichiarato il procuratone Nicola Gratteri. Tremano, certo, ma non è escluso che stiano già progettando come ostacolare le inchieste delle autorità giudiziarie.

(nella foto l’articolo del quotidiano del sud che ha anticipato la notizia del pentimento)


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