Nacque come quotidiano il 28 aprile 1971, figlio legittimo del Sessantotto, pochi giorni dopo le celebrazioni della Festa della Liberazione e a due anni dal celebre editoriale di Lucio Magri sulla solitudine di Praga al cospetto dei carri armati sovietici. Compie, dunque, cinquant’anni il piccolo e combattivo Manifesto, quella splendida dozzina di ingraiani non pentiti, di comunisti eterodossi, di “frazionisti”, di radiati, di coraggiosi cercatori di storie, di portatori sani di speranza e di inguaribili sognatori che da mezzo secolo mandano in edicola il loro prodotto artigianale, frutto di tanta passione, pochi soldi, uno smisurato amore per la cultura e l’informazione e uno sguardo sempre presente sul mondo.
Leggere il Manifesto è in sé un atto di ribellione, una rivolta contro la barbarie che da allora affligge il mondo, uno schieramento naturale, una forma di appartenenza e un grido di rivolta contro tutti i fascismi. Il Manifesto, infatti, c’era quando Pinochet compì il golpe della Moneda, c’era nei giorni dello stadio di Santiago, c’era quando in Argentina avvenne il colpo di Stato di Videla, c’era negli anni tragici del terrorismo, c’era quando venne rapito Moro e a sinistra ci si dilaniava tra foto di famiglia e necessità di scegliere fra lo Stato e le Brigate Rosse, e quella splendida dozzina prese una posizione difficile, scegliendo di non schierarsi, di uscire come sempre dal coro, di essere alternativa, combattiva, di lotta senza cercare a ogni costo di arrivare al governo.
Il Manifesto ha attraversato i decenni rimanendo fedele alla propria identità, ha rischiato più volte di chiudere, ha combattuto per rimanere in vita e ha continuato a non arrendersi. C’è stato anche negli ultimi vent’anni: a Genova, nel giorno degli attentati alle Torri Gemelle, contro le guerre di Bush, nella stagione del terrorismo jihadista che ha insanguinato le capitali europee e nella fase critica della caduta di Berlusconi e dei governi tecnici.
Quella splendida dozzina ha resistito a tutto e si ostina a resistere, anche se oggi non si sa più dove sia e cosa sia la sinistra, in che direzione vada quello che un tempo era il suo popolo, cosa ci aspetti per il futuro e quali prospettive si aprano dopo la tragedia del Coronavirus.
Lo abbiamo amato e lo amiamo proprio per la sua capacità di remare costantemente in direzione ostinata e contraria, di camminare al fianco dei grandi uomini di fede, di abbracciare senza remore i rivoluzionari veri, di precorrere i tempi, di contrastare i pregiudizi, il razzismo e le discriminazioni di ogni genere, di parlare di lavoro quando molti ne preconizzano la fine e di immaginare un domani anche quando sembra venire meno.
Cinquant’anni e ancora tanti giorni da raccontare, tante esperienze da vivere, tanta sinistra da fare, tante barriere da abbattere e tante nuove forme di resistenza cui dar voce e dignità. L’avventura continua.
P.S. Compie settantacinque anni la mitica Vespa della Piaggio: un simbolo dell’Italia nel mondo, un’icona della nostra capacità di rialzarci anche nei momenti più difficili, un esempio di genialità e bellezza cui ispirarsi per guardare al futuro con ottimismo. Ne abbiamo bisogno.
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