Vuoi vedere che il Captagon più che la droga dell’Isis è l’arma segreta di Hezbollah? E’ la tesi, difficile da smontare, che emerge dalla scoperta di 3 milioni di pastiglie di Captagon nascoste in un container di melograni spedito dal Libano in Arabia Saudita. La scelta “antagonista” di Hezbollah- se sono stati loro a infilarcele come molto sembra indicare- pone un problema anche sul reale “mandante” di altri carichi di questa sostanza definita la “droga dei terroristi” scoperti in Europa? Scrisse nello scorso anno il CESI, Centro Studio Internazionali: Lo scorso primo luglio una brillante operazione della Guardia di Finanza ha condotto al sequestro, nel porto di Salerno, di 14 tonnellate di anfetamine, pari ad oltre 84 milioni di pasticche, destinate presumibilmente ad inondare il mercato europeo degli stupefacenti. Si tratta del più grande quantitativo di anfetamine mai sequestrato a livello mondiale. Nella fattispecie, il carico intercettato dalla Guardia di Finanza era costituito dalla sostanza psicotropa “captagon”, prodotta soprattutto in Medio Oriente (Libano, Siria ed Iran) e conosciuta con l’epiteto di “droga dell’ISIS”, a causa del frequente uso da parte dei miliziani terroristi e del suo rinvenimento nelle abitazioni degli attentatori di Parigi nel 2015. Sebbene il captagon sia chiamato “droga dell’ISIS”, esiste più di un dubbio sulla reale capacità del gruppo di produrre e commercializzare ingenti quantità di quella sostanza stupefacente per ragioni logistiche, geopolitiche e, parzialmente, ideologiche. Viceversa, appaiono molto più concrete le possibilità che il traffico di captagon dal Medio Oriente all’Europa sia gestito da altri soggetti statali e para-statali che nulla hanno a che vedere con la galassia jihadista, inclusi oligarchi siriani vicini ad Assad, uomini di Hezbollah ed imprenditori criminali nell’orbita dei Pasdaran iraniani”.
Si capisce allora perché l’ Arabia Saudita sia corsa ai ripari, assestando però un colpo al Libano, oltre che all’eventuale traffico illecito alimentato da Hezbollah: bloccare l’import alimentare dal Libano. E siccome il Libano sta morendo per mancanza di liquidità è difficile pensare che creare un simile problema non sia anche un atto eversivo contro il Libano. Il Libano infatti così perde 300 milioni di dollari che in queste condizioni sono vitali.
Ma chi pensa che la politica libanese parli di questo si sbaglia. Parlare di Hezbollah e traffici illeciti è come toccare intenzionalmente i cavi dell’alta tensione. Ne sa qualcosa l’intellettuale sciita dissidente Loqman Slim, assassinato poco dopo aver accennato che c’erano elementi per dire che l’esplosivo custodito a Beirut, e che ne distrusse il porto, serviva ad alimentare i barili bomba di Assad, alleato di Hezbollah.
Che i leader politici si muovano con circospezione è sbagliato ma comprensibile. Possono accettare che il Libano sia uno stato nello stato di Hezbollah? No. Ma non possono riuscire loro a rovesciare la situazione dopo averla consentita e legittimata. Però che un ministro degli esteri europeo, quello ungherese, vada a Beirut a dire che lui si oppone alle ventolate sanzioni contro chi ha svuotato le casse del Libano sorprende. Tra i soggetti passibili di sanzioni c’è anche uno dei principali esponenti del Fronte Patriottico dell’ex generale e attuale Presidente della Repubblica, Aoun, suo genero Gebran Bassil. Eletto come unico maronita accettabile da Hezbollah ha consegnato il partito allo sposo di sua figlia, l’ex ministro degli esteri libanese. Ora Gebran Bassil conferma l’asse strategico con Hezbollah e incassa il sostegno non di Macron, che fa sapere che molti leader libanesi non potranno più entrare in Francia, ma del ministro degli esteri magiaro, che lo ha incontrato a Beirut dicendo di essere ostile a sanzioni europee contro “dirigenti del primo cristiano del Libano”. Dunque difendere i cristiani vuol dire difendere leader sanzionabili dall’Europa e che fondano la loro politica sull’alleanza strategica con Hezbollah. Questo è il punto. Il Libano sta morendo proprio per questa politica. Si chiama “alleanza delle minoranze”, le minoranze religiose alleate degli sciiti, minoranza dell’Islam, contro i sunniti. E’ il rifiuto dell’idea di creare Paesi basati sulla cittadinanza. Una linea respinta in questi ultimi anni dal patriarca maronita Beshara Rai. Il Libano riuscirà a riprendersi, con il peso culturale e sociale dei cristiani e di tutti gli altri, solo se rifiuterà di essere parte della guerra per la conquista militare dell’Islam in corso tra petromonarchie e Iran, che usano l’Islam come copertura dei loro imperialismi. Hezbollah invece trascina il Libano a essere soggetto di questo conflitto fratricida. Il ruolo dei cristiani è allearsi con loro? O proporsi come promotori della cittadinanza per tutti, rompendo il settarismo confessionale che arma l’uno contro l’altro?
La coppia Aoun Bassil è convinta della prima strada e l’Ungheria li sostiene. Così il giovane aspirante futuro presidente del Libano va a Mosca e afferma, ingraziandosi i russi, che rieleggere Assad è la garanzia anche per il ritorno in patria dei profughi siriani che si trovano in Libano. Tutti sanno che i profughi siriani sono ormai troppi per un Libano stremato dal furto delle sue enormi ricchezze da parte di tutto il ceto politico. Ma se c’è una certezza che impedirà il ritorno dei profughi in patria (se non in catene) è proprio la rielezione di Assad. Il disegno del regime espellendoli era chiaro a subito: trasformare la composizione socio-culturale del Paese eliminando i sunniti. Torneranno in patria da chi li eliminerebbe fisicamente?
Rendersi conto della portata devastante per il futuro dei cristiani in tutto il Levante della politica dell’alleanze delle minoranze è un’urgenza anche nostra, in quanti cittadini del Mediterraneo che non può essere il mare che unisce caserme che si odiano.