Due episodi completamente diversi caratterizzarono l’aprile di sessant’anni fa. L’11 aprile 1961, a Gerusalemme, si aprì il processo al carnefice nazista Adolf Eichmann. Il 12 aprile dello stesso anno Jurij Gagarin fu il primo uomo a tentare la missione spaziale, rafforzando la corsa alla luna che avrebbe caratterizzato l’intero decennio. Da una parte il passato, l’abisso dei campi di sterminio, un orrore che il mondo intero voleva lasciarsi per sempre alle spalle e una follia su cui la generazione nata nell’immediato dopoguerra non aveva voglia di soffermarsi ulteriormente. Dall’altra i sogni e le speranze di un mondo pacificato che si sfidava per andare oltre se stesso.
Certo, la Guerra fredda era tutt’altro che incruenta, come avrebbero dimostrato, un anno e mezzo dopo, la crisi dei missili a Cuba e i rischi connessi a una possibile Terza guerra mondiale, cui si andò più vicini di quanto non si pensi. Fatto sta che il mondo del 1961, sia a Est che a Ovest, voleva sognare. E la sfida fra sovietici e americani per la conquista dello spazio era senza esclusione di colpi, a suon di investimenti mostruosi ed esplorazioni che costituivano, al contempo, un grosso rischio per gli astronauti coinvolti e una straordinaria speranza per la collettività.
In quei giorni d’aprile, il criminale che finiva alla sbarra faceva da contraltare alla felicità di un mondo che guardava al futuro, costituendo l’immagine di anni tremendi ormai finiti. Avrebbe meritato l’ergastolo, non la pena di morte, in un compimento del Processo di Norimberga che mi ha sempre trovato contrario, in quanto rifiuto categoricamente l’annientamento di un essere umano, fosse anche il peggiore in assoluto.
Sessant’anni dopo di quel contesto non è rimasto nulla, ma la memoria di una contrapposizione così radicale fra il prima e il dopo, riproposta in una casuale ma significativa contemporaneità, pone di fronte ai nostri occhi quale fosse la caratteristica principale di quella stagione: una dilagante voglia di vivere e di volare che nemmeno il riemergere dell’inferno era in grado di fermare. Oggi non siamo più capaci di quegli slanci d’ottimismo: da qui la nostra rabbia e la nostra amara disillusione.
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