L’ordine politico occidentale da tempo ha dimostrato la sua fragilità e la pandemia non ha fatto altro che accentuarne le debolezze. Per Corbino, il costume partecipativo democratico è saldissimo, molto meno lo sono le istituzioni, dimostratesi impreparate a gestire qualunque cosa vada oltre l’immediato.
E così, la democrazia è divenuta un problema. Si discute animatamente di come e quando cambiarla. Quali istituzioni vanno preservate e quali forme di governo siano attuabili o preferibili. Ma ciò che deve preoccupare, secondo l’opinione dell’autore, non è la discussione in sé. Quella ben venga. A destare preoccupazione dovrebbe essere il modo in cui essa si origina e sviluppa: con le modalità proprie della moderna comunicazione di massa, nei termini dunque di un’informazione sintetica rivolta a stimolare, più che riflessioni, emozioni.
Se era eccessiva e poco coerente con la democrazia l’esclusione dei molti dalla discussione, non è per Corbino condivisibile nemmeno la situazione attuale. Una situazione in cui problemi di grande importanza si intendono affrontabili e risolvibili senza adeguata informazione, sulla base di suggestioni solo assertive.
Le società occidentali sono in una condizione di palese sbandamento. E lo sono perché tra il disegno che ne è stato immaginato e al quale dovrebbero restare aderenti le pratiche si è invece creato uno scollamento molto sensibile. Quel disegno è divenuto inattuabile e le pratiche hanno preso una direzione disordinata e incontrollata.
Per rimettere ordine bisognerebbe non stravolgere l’impianto liberal-democratico ma agire recuperando il ruolo del metodo. Imparando a darsi degli obiettivi flessibili, soluzioni aperte e non chiuse. Creare dunque modalità di governo complesse.
Ma, soprattutto, bisogna imparare e comprendere che enunciare, anche pubblicamente, una soluzione non è sufficiente ad assicurarne la sua adozione concreta.
Se da una parte la comunicazione di massa sta inficiando la discussione sui cambiamenti, dall’altra per modificare efficacemente le nostre democrazie non è sufficiente dialogare solo con studiosi di scienza politica o, più in generale, con gli “addetti ai lavori”. Bisogna, invece, coinvolgere il maggior numero di cittadini. Ma per farlo bene è necessario, come sottolinea l’autore, risolvere anche l’annoso problema della formazione, generale e giuridica in particolare.
L’informazione, al pari della formazione, risente di un calo qualitativo notevole. L’opinione pubblica è costantemente bombardata di informazioni fallaci, deformate, interessate, spesso – addirittura – artificiali, perlopiù dipendenti da piattaforme orientate a modelli di business che privilegiano like e pubblicità a discapito della qualità stessa dell’informazione.
In questo modo, ricordando anche le parole di Lee McIntyre, la post-verità diventa sinonimo di pre-verità. Una fake news non è più una cosa da ignorare o correggere ma diventa essa stessa un fatto che interviene sulla realtà e la condiziona.
Purtroppo anche la politica si adegua a questo sistema, alimentando la propria impotenza espressa attraverso la continua corsa a codificare in nuove leggi e in pene sempre più esemplari (con lo smarrimento del concetto illuminista del ruolo educativo della pena) i continui movimenti sussultori del sismografo sociale.
L’eclisse della formazione, la crisi del pensiero critico, l’inaridirsi, o l’imbarbarimento, del dibattito pubblico portano l’illusione che la competenza e la professionalità siano merce stantia. E bene fa Salvatore Carrubba a ricordare, nella prefazione al testo, le parole di Tom Nichols scritte ne La conoscenza e i suoi nemici.
Nichols, parlando degli statunitensi ma il suo discorso va bene anche per l’Italia e, forse, per molti altri paesi occidentali, sostiene che ormai l’America intera è ossessionata dal culto della propria ignoranza. Per gli americani rifiutare l’opinione degli esperti significa affermare la propria autonomia. Si tratta di un metodo auto-difensivo: isolare il proprio ego sempre più fragile e non sentirsi dire che si sta sbagliando.
Conseguenza fatale della perdita di fiducia nella professionalità e nel sapere è la perdita del valore sociale attribuita allo studio e all’insegnamento.
Bisogna ripartire, conclude Corbino, e farlo con umiltà e pazienza. Ricostruire un tessuto culturale come anche sociale e politico. Trovare un metodo nuovo, più complesso e lungimirante.
Perché, come afferma Marco Aime ne Il mondo che avrete, abbiamo costruito un sistema fondato sull’oggi. E allora bisogna per forza chiedersi quale domani potrà mai esserci per una società che non pensa al futuro.
Bibliografia di riferimento
Alessandro Corbino, La democrazia divenuta problema. Città, cittadini e governo nelle pratiche del nostro tempo, Eurilink University Press, Roma, 2020.