A Pryp”jat’, dalle parti di Chernobyl, apparve una scritta che mi induce a riflettere ogni volta che ricorre quest’anniversario: “I vivi chiedono perdono ai morti”. La tragedia di trentacinque anni è ancora viva in noi, purtroppo attualissima, non foss’altro che per l’incapacità dell’Occidente di dotarsi di nuove forme di approvvigionamento energetico e per la costante distruzione dell’ambeinte che un modello di sviluppo squilibrato e disumano provoca da decenni.
Chernobyl sta lì, come Auschwitz, a imperitura memoria dell’abisso. Il paragone può sembrare forzato ma non lo è, in quanto parliamo di due forme diverse di annientamento dell’essere umano – una incidentale, l’altra assolutamente volontaria – che hanno segnato la storia del Novecento.
Non sapremo mai quanto il disastro di quel reattore nucleare abbia influito sulla dissoluzione dell’Unione Sovietica: forse niente, forse molto, forse accelerò semplicemente un processo di disgregazione già in atto. Fatto sta che nulla, dopo quella catastrofe, niente è stato più lo stesso, e purtroppo ci troviamo qui, ogni volta che ne parliamo, a scrivere lo stesso articolo, a formulare le stesse riflessioni, a fare i conti con tanti buoni propositi rimasti tali, a preoccuparci per l’inazione dei governi, per il tempo che trascorre inesorabile, per il surriscaldamento climatico, per i ritardi nella ricerca di nuove forme di produzione e per la pressoché totale assenza di un dibattito, ai massimi livelli, sul bisogno di un radicale cambiamento del nostro modo di vivere. Scriviamo sempre le stesse cose, ci ritroviamo in pensosi convegni, adesso virtuali a causa della pandemia, e poi abbiamo sempre l’impressione che la storia insegni ma non abbia scolari, che tutto rimanga costantemente uguale e che si stiano perdendo anni preziosi. E allora riandiamo con la memoria a quei giorni di trentacinque anni fa, all’impatto mediatico che quel dramma ebbe sull’opinione pubblica, ai bambini che vennero ospiti nel nostro Paese per scampare alle radiazioni mortali, alla devastazione di un’intera zona e ai piccoli miglioramenti che, comunque, sono occorsi in oltre tre decenni. Chernobyl, infatti, ci ha insegnato molte cose, quanto meno a interrogarci sull’assurdità di un mondo dominato dal profitto dall’ambizione smisurata di pochi, ma non a essere davvero uomini. Da qui i nostri rimpianti e il nostro inesorabile declino.
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