E’ stato un bracciante bengalese, povero, immigrato, senza diritti e forse senza più speranza a presentare la denuncia che ha portato a sette arresti per associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento del lavoro e all’applicazione del caporalato nelle campagne fra Terracina e San Felice Circeo. L’inchiesta “Job tax”, coordinata dalla Procura di Latina, ha ricostruito l’esistenza di un sodalizio dedito allo sfruttamento di manodopera extracomunitaria in agricoltura, a estorsioni e all’impiego illecito di fitofarmaci non autorizzati nelle coltivazioni in serra. Con gli arresti, oltre che bloccare il trattamento disumano dei braccianti, si è arginato un grave pericolo per la salute pubblica legato all’uso dei fitofarmaci illegali. Gli indagati sono membri della stessa famiglia, titolare di un’azienda agricola per la coltivazione di ortaggi estesa su cinque siti produttivi tra San Felice Circeo, Sabaudia e Terracina, produzioni destinate poi al mercato locale, nazionale ed estero. A supporto dell’inchiesta non c’è solo l’originaria denuncia del bracciante bengalese, bensì un lungo elenco di altre prove, tra cui le dichiarazioni di persone informate sui fatti, intercettazioni, pedinamenti. Tutta la produzione di quella società era basata “sullo sfruttamento dello stato di necessità dei braccianti” con l’ausilio di due caporali, entrambi bengalesi e utilizzati per il reclutamento e la gestione della manodopera straniera (quasi tutti lavoratori bengalesi, indiani e pachistani) “procurandosi un ingiusto profitto mediante l’impiego dei dipendenti in violazione del contratto collettivo nazionale”. E’ stata accertata un’evasione in danno dell’Inps di Latina di oltre mezzo milione di euro per il periodo compreso tra marzo e novembre 2019. Nel corso dei sopralluoghi è emerso un mondo illegale e pericoloso dentro un territorio inquinato da sostanze dichiarate illecite da tempo, il cui uso era possibile “grazie” alla partecipazione di un “tecnico”, un agronomo. Il Nas dei carabinieri ha sequestrato 244 litri fitofarmaci nocivi del valore di 7000 euro. Nei dettagli di questa operazione si annida un modus agendi molto frequente nelle campagne pontine, emerso già altre volte: i braccianti erano costretti a sottoscrivere la ricevuta della busta paga con l’omessa contabilizzazione delle ore effettivamente prestate. Chi si rifiutava (ma era raro) di firmare subiva ritorsioni, non veniva pagato affatto. Di fatto le retribuzioni erano in forma di cottimo e comunque bassissime, fino a due euro l’ora a fronte, peraltro, di rischi notevolissimi per la salute poiché i braccianti erano costretti a lavorare senza dispositivi di protezione contro l’inalazione dei fitofarmaci sparsi sui terreni e nelle serre. “Job tax” è stata anche un’operazione in “presa diretta”, con numerosi contributi video e registrazioni foniche che ne fanno il ritratto di un sistema criminale che mette insieme abusi sui lavoratori, evasione fiscale e contributivo con un inquinamento dei siti produttivi e ripercussioni sulla salute. Una piovra dell’agricoltura, tante volte descritta in servizi giornalistici e plurime interrogazioni parlamentari ma mai sconfitta e forse mai, finora, nemmeno ben rappresentata nelle indagini giudiziarie.