Nell’accusa di stupro del figlio di Grillo – che va lasciata alla valutazione della magistratura – c’è un dettaglio che pochi hanno evidenziato: l’avvocato della presunta vittima non è una persona qualsiasi, ma Giulia Bongiorno, avvocatessa e senatrice in carica nel partito Lega-Salvini Premier, opposto al Movimento, che avrebbe un notevole interesse extragiudiziale – il danno di immagine politico dei grillini – alla condanna del figlio del Garante.
E qui il discorso investe il principio generale di esclusività della funzione di parlamentare, tante volte invocato, che dovrebbe rendere impossibile il contemporaneo svolgimento dell’attività forense. Perché chi “rappresenta la Nazione” (art. 67 Costituzione) non può – uscito dall’Aula – rappresentare una parte in un processo, tanto meno quando il giudizio coinvolga attori politici. Questa doppiezza di ruolo dovrebbe essere vietata da una incompatibilità codificata, per scongiurare il sospetto di una strumentalizzazione politica di un caso giudiziario, come invece si presta ad essere la brutta storia di Ciro Grillo. Sospetto non fugabile, perché non si potrà mai accertare – nonostante la presunzione di buona fede – se sia stata la famiglia della ragazza ad aver cercato la Bongiorno o viceversa.
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