L’Alto Rappresentante UE, Joseph Borrell appena terminato il Vertice dei dieci Paesi ASEAN sulla crisi birmana, si è subito espresso positivamente: “Il “consenso in cinque punti” sul Myanmar raggiunto sabato al vertice dell’ASEAN è un incoraggiante passo avanti dell’ASEAN negli sforzi in corso per risolvere l’attuale crisi in Myanmar” .
E’ comprensibile che nella paralisi del Consiglio di Sicurezza ONU, a causa del veto di Cina e Russia, l’Unione Europea colga qualsiasi appiglio, che possa sperabilmente condurre alla soluzione del gravissimo colpo di stato, benedetto sicuramente da Cina e Russia.
Ma bisogna dirlo: le conclusioni del vertice sono molto deludenti. Sia per il ritardo, che per i contenuti. Il testo ASEAN non condanna le violenze della giunta militare contro manifestanti pacifici, ma dichiara: “ci sarà la cessazione immediata della violenza in Myanmar e tutte le parti eserciteranno la massima moderazione”. Come se le responsabilità delle violenze fossero sia dei militari che dei manifestanti e non dei militari e della polizia.
Ed è drammatico che ci si debba appigliare a una breve dichiarazione congiunta in cinque punti, nella quale non condanna il colpo di stato, ne si chiede la liberazione dei prigionieri politici. Come pensano i governi ASEAN o la UE che si possa avviare un qualsiasi negoziato, una delle parti in carcere o agli arresti domiciliari?
Ci sono voluti ben 83 giorni, 740 morti e oltre 3400 arresti dall’inizio del colpo di stato militare perché i dieci governi asiatici riuscissero a mettersi d’accordo per un vertice.
Loro che avrebbero dovuto prendere l’iniziativa il giorno dopo il golpe, ci sono riusciti, solo il 24 aprile e lo hanno fatto perché, se così non fosse stato, l’ASEAN avrebbe perso completamente la sua già flebile credibilità.
Si sono riuniti solo ora, perché le divisioni sul futuro della Birmania sono troppo grandi. Troppi i legami con i militari, troppi i governi dittatoriali tra i 10 membri dell’ASEAN. Ma anche troppe le pressioni della Cina per un loro ruolo, che impedirebbe eventuali iniziative ONU o di altri paesi. Infatti il Ministro degli esteri cinese Wang Yi, a pochi giorni dal vertice aveva sollecitato i membri dell’ASEAN ad essere: “vigili contro le forze esterne che interferiscono nel paese”.
La Cina, ma anche altri tra i “grandi”, nel quadro di una serie di tensioni internazionali crescenti, hanno scaricato tutto sull’ASEAN, sperando che questa debole e divisa associazione regionale, che non ha mai brillato per straordinarie iniziative a sostegno dei diritti umani, potesse trovare la soluzione. Così si arriva ad un vertice a cui è stato invitato il responsabile del golpe e non il legittimo Governo di Unità Nazionale.
U Maung Maung, presidente della Confederation of Trade Unions Myanmar, che è stato in esilio dal 1988 al 2012, sottolinea come “l’Asean abbia mentito tre volte. Nel 1988, nel 1990 e subito dopo questo colpo di stato del 2020. Chiediamo all’Asean di smetterla di fingere di fare qualcosa, per bloccare invece le azioni delle Nazioni Unite sui militari.”
Ci sono volute due ore di riunione in tutto, per discutere i tre punti all’ordine del giorno, uno dei quali riguardava il colpo di stato militare birmano. Immaginiamo il complesso lavoro preparatorio, propedeutico alla pubblicazione della dichiarazione del Chair, e dei cinque punti di impegno concordati tra i dieci.
Peccato che a nessuno dei governi fosse passata per la testa l’idea di consultare, neanche informalmente o riservatamente i rappresentanti dell’opposizione democratica.
Tra i cinque punti concordati, non vi è alcuna menzione all’impegno per la liberazione dei 3.000 prigionieri politici, a partire dal Presidente della Repubblica e dalla leader Aung San Suu Kyi, si menziona alcun cronogramma o scadenza per la attuazione dei singoli punti.
Il giornale birmano The Irrawaddy riporta le dichiarazioni del primo ministro di Singapore Lee Hsien Loong sulla posizione del comandante delle forze armate birmane, responsabile del colpo di stato: “ci ha ascoltati e ha dichiarato che avrebbe accolto i punti che considerava utili; che non era contrario ad un ruolo costruttivo dell’ASEAN o ad una visita di una delegazione ASEAN o, all’assistenza umanitaria, e che sarebbero andati avanti e si sarebbero impegnati con l’ASEAN in modo costruttivo “.
Quindi, in realtà, non vi è stato nessun impegno del capo della giunta, sui cinque punti.
L’ASEAN come già in passato, dimentica chi sono i responsabili degli oltre 730 morti, delle centinaia di feriti, delle torture, degli stupri e degli arresti avvenuti in questi 83 giorni.
A conferma della irrilevanza sostanziale degli impegni dichiarati, i media birmani considerano il viaggio di Min Aung Hlaing come un trionfo diplomatico. Mentre il giornale ufficiale della giunta: The New Light of Myanmar, fa un ampio racconto del vertice, ma senza menzionare in alcun modo la dichiarazione conclusiva del Chair e tanto meno i cosiddetti 5 punti condivisi anche dal il leader golpista birmano. Come se nulla fosse stato deciso.
U Moe Zaw Oo, viceministro degli esteri del NUG ha dichiarato a The Irrawaddy che: “La richiesta dell’ASEAN di porre fine alla violenza dovrebbe essere collegata ad azioni concrete, se tale richiesta non verrà attuata. Lo stesso vale per il rilascio dei prigionieri politici. L’ASEAN deve avere un piano concreto su cosa fare, se queste richieste non verranno soddisfatte “. Quindi sarà fondamentale che la UE non deleghi la soluzione all’ASEAN, rafforzando invece l’iniziativa internazionale attraverso i cosiddetti “likeminded countries”, per costruire uno stato democratico e federale, magari, come suggerito dal Canada, riattivando il gruppo di 22 paesi, costituitosi all’ONU nel periodo della crisi Rohingya. Sarà fondamentale mentre l’ASEAN deciderà come e con chi dialogare, che si lavori ad un ampio embargo sulle armi, ad una no flight zone, per impedire gliattacchi dell’aeronautica militare birmana sui villaggi etnici e si sostengano gli ormai 250.000 displaced.
Il punto di riferimento per il futuro dovrà essere quanto chiesto dal popolo birmano. Il complicato percorso verso la soluzione stabile, passa anche attraverso il superamento del dominio dell’esercito sul paese. Ma il passo imprescindibile per garantire che si arrivi ad un dialogo equo tra le parti passa per la liberazione incondizionata dei leader politici e perché l’ASEAN si impegni a lavorare sotto l’egida dell’ONU, attraverso la sua Inviata speciale Christine Shraner Burgener, a cui ancora oggi, è stato negato l’accesso in Birmania e l’incontro con i prigionieri politici.