Non c’è alcuna retorica nei sentitissimi complimenti ad una testata fondamentale per la storia italiana e, senza esagerazioni, pure internazionale.
Il tratto peculiare del quotidiano caparbiamente comunista (nel senso profondo e, persino, pre-marxiano della parola) è l’aver attraversato momenti cruciali della vita politica e culturale con uno stile peculiare e, forse, irripetibile. Anzi. E’ stato un prototipo editoriale.
Giornale dalle opinioni nette e profonde, schierato da quella che con ironia leggera era chiamata la parte del torto, il manifesto ha sempre mantenuto una sobria ed elegante indipendenza. Sì, senza proclamarlo come un rosario da inculcare a lettrici e lettori, bensì come una pratica faticosa e quotidiana. E la libertà assoluta, come ebbe a scrivere la direttrice Norma Rangeri, si paga a caro prezzo. Infatti, più di una volta le Parche stavano per tagliare i fili. Ma le crisi finanziarie e le diverse difficoltà incontrate sul cammino sono state sempre respinte, tra mille problemi.
Pure la tragedia dei tagli del Fondo per il pluralismo ha trovato una resistenza costante, resa possibile da una trama di relazioni assai superiore alla forza in sé e per sé della testata, e frutto dell’autorevolezza di cui ha sempre goduto.
Una scuola di giornalismo, tant’è che gli asciutti e perfetti editoriali di Luigi Pintor rimangono un riferimento per chiunque voglia dedicarsi alla scrittura.
Possiamo gustare numerose prime pagine degli anni settanta nel primo dei fascicoli pubblicati per l’anniversario.
Oggi più che mai, di fronte all’omologazione crescente, alla dittatura dei social e all’ingresso prepotente dell’intelligenza artificiale anche nelle redazioni, coniugare passato e presente ci preserva da un futuro terribile.
Appuntamento alla fine dei prossimi cinquant’anni.