Renata Fonte viene assassinata il 31 marzo del 1984 con tre colpi di pistola mentre tornava a casa dopo aver partecipato ad una seduta del consiglio comunale di Nardò (in provincia di Lecce): la sua “colpa” era stata quella di impedire la speculazione edilizia che voleva impadronirsi di una delle zone costiere più belle del Salento: Porto Selvaggio. Si era fatta promotrice di una delibera che modificasse il piano regolatore al fine di impedire la devastazione di un territorio particolarmente fragile per la sua natura geologica composta da macchia mediterranea ricca di flora e pinete, scogliere a picco sul mare Ionio, torri di avvistamento costruite secoli fa per per difendersi dai pirati, perfino una grotta dove sono stati scoperti resti umani e animali risalenti all’età preistorica chiamata “Grotta del cavallo”. Nel sottosuolo scorrono fiumi di di acqua dolce che sfociano in un mare profondo dai colori blu cobalto. Sui fondali di questa baia sono stati rinvenuti anche i resti di navi romane naufragate con il carico di anfore olearie e per il vino ben conservate e ora esposte nei musei archeologici di Gallipoli e Bari. Porto Selvaggio oggi è un parco protetto, un’oasi naturalistica di grande pregio naturalistico, dotato di sentieri attrezzati e corredati da guide per l’esplorazione. Frequentato dai residenti per la ricerca di funghi nel periodo autunnale e da turisti l’estate per il suo mare pulito.
Tutto questo poteva essere sconvolto dall’edilizia di imprenditori senza scrupoli al fine di costruire un villaggio turistico. Renata Fonte si era esposta in prima persona per evitare lo scempio dell’area con un impegno politico a salvaguardia del territorio e quindi un connubio tra il fare politica (apparteneva al Partito Repubblicano) e la politica al servizio della comunità e del bene pubblico. Durante il suo mandato in Comune subì minacce di morte per impedirle di proseguire la sua volontà di difendere il bene pubblico. Un pericolo sottovalutato che si trasformò in tragedia.
Le indagini furono affidate al maresciallo maggiore dell’Arma dei Carabinieri Alfredo Proto (scomparso nel mese di dicembre del 2020) che apparteneva alla tenenza di Gallipoli con il compito di identificare mandanti ed esecutori del delitto. La sera del 31 marzo del 1984 prestava servizio presso la Caserma di Gallipoli ed era il carabiniere con il più alto grado di comando presente. Da subito il maresciallo Proto si dedicò a cercare indizi e prove che potessero risalire agli autori del crimine. Fu subito compreso il movente: la modifica al piano regolatore sarebbe stata discussa in Consiglio comunale e Renata Fonte aveva toccato qualcuno che era interessato a non farla approvare. Le indagini furono orientate su tutti i possibili sospettati capaci di fermare la sua azione.
Proto non si diede pace finché insieme a i suoi colleghi riuscirono a risalirono a tutti i responsabili. Uno di questi era fuggito per nascondersi in Germania mentre il mandante che aveva commissionato il delitto fu arrestato e condannato al processo di primo grado con la pena del delitto: il suo nome è Antonio Spagnolo subentrato dopo la morte di Renata Fonte nel ruolo di consigliere comunale (era il primo dei non eletti) e fu poi nominato anche assessore. Diede 70 milioni di lire per far uccidere la donna. Con lui furono arrestati Giuseppe Durante (esecutore materiale del delitto) e anche lui condannato all’ergastolo. Marcello My presente sul luogo del delitto confessò dopo essere stato arrestato e insieme a Mario Cesari (intermediario) furono condannati in primo grado a 24 anni. Pantaleo Sequestro 18 anni di carcere per aver contattato su incarico di Antonio Spagnolo, Marcello My e Giuseppe Durante. Anche nei processi successivi le condanne furono tutte confermate. Restarono nell’anonimato altri che non furono mai identificati anche se la Corte d’Assise di Lecce, nella sentenza emessa aveva ipotizzato come ci fossero interessati a edificare sul territorio di Porto Selvaggio ben di più di un semplice esponente locale. Non era solo Antonio Spagnolo a voler mettere le mani sul parco e durante le indagini si presentarono anche dei cittadini di Nardò e provincie limitrofe che erano stati contattati per acquistare appartamenti progettati all’interno del villaggio turistico a Porto Selvaggio.
Il maresciallo Alfredo Proto diede il massimo impulso all’indagine senza mai sottovalutare nessun indizio anche minimo. Interrogatori si susseguivano quotidianamente in caserma incrociando le testimonianze e le deposizioni contrastanti tra i fermati. Gli indiziati si smentirono tra di loro e questo fece capire come la pista intrapresa portava sempre più a individuare con certezza mandante ed esecutori materiali. La pistola che aveva sparto fu ritrovata in un pozzo all’interno di una masseria abitata da uno di loro e le analisi condotte dimostrarono come fosse stata l’arma per uccidere. Al suo funerale partecipò anche Giovanni Spadolini a quel tempo ministro della Difesa e massimo esponente del Partito Repubblicano a cui era iscritta anche Renata Fonte. Una donna impegnata in politica tanto da essere nominata segretario del suo partito a Nardò, consigliere comunale e assessore alla cultura e pubblica istruzione con la delega in materia di tutela dell’ambiente. Quella sera del 31 marzo era uscita dal consiglio comunale dove era riuscita a far votare a suo favore finché venisse approvato una modifica del piano regolatore che favorisse la costruzione di edifici con l’infiltrazione delle ecomafie presenti nel Salento. Una terra ferita su cui le mafie hanno sempre cercato di impadronirsi. A Renata Fonte è stata dedicata la Ophrys Renatafontae, un’orchidea nata dall’incrocio tra le rare Ophrys candica e la Ophrys parvimaculata. Cresce all’interno del Parco naturale regionale Porto Selvaggio compreso dal Fondo Ambiente Italiano nell’elenco dei 100 luoghi da proteggere.
Su questa tragica vicenda è stato realizzato un film: La posta in gioco, per la regia di Sergio Nasca, la sceneggiatura di Giuseppe Ferrara e la collaborazione del giornalista Carlo Bollino. A lei è stata dedicata sabato 24 aprile scorso: “Un’ora con… Dal delitto Fonte ai giorni nostri. L’isolamento delle vittime e l’infiltrazione delle mafie nelle pubblica amministrazione e negli appalti. La necessità della memoria e dell’impegno” realizzato da Articolo 21 Puglia con la conduzione della portavoce del presidio, la giornalista Fabiana Pacella a cui hanno partecipato Paolo Borrometi, presidente di Articolo21, Giuseppe Giulietti, presidente della Federazione nazionale della stampa, la figlia di Renata Fonte, Viviana Matrangola, Lorenzo Frigerio, giornalista scrittore coordinatore di Liberainformazione, Giuseppe Fornari, avvocato dello studio Fornari e Associati di Milano, anche come legale della famiglia Dalla Chiesa, Giuseppe Romano, avvocato, esperto di interdittive antimafia, Roberto Rinaldi, portavoce del presidio Articolo21 del Trentino Alto Adige. L’evento è stato coordinato da Francesco Cavalli e Silvio Giulietti ed è visibile sulla pagina di Articolo 21 https://www.facebook.com/articolo.ventuno