Questa settimana si è verificato un triste primato, abbiamo superato la soglia dei centomila morti a causa della pandemia, l’equivalente dei caduti italiani in Russia durante l’ultima guerra. Come se non bastasse la curva dell’epidemia nel nostro paese ha ripreso a crescere mandando in crisi gli ospedali nei quali i reparti di terapia intensiva cominciano ad essere saturi, mentre all’orizzonte si prospettano ulteriori e dolorose restrizioni. Anche in altri paesi il tasso di morte marcia a ritmo sostenuto, basti pensare agli oltre 2.000 decessi al giorno in Brasile. In questo momento storico la lotta per la vita in tutto il mondo passa attraverso l’accesso alle cure mediche e ai vaccini. Ogni giorno sentiamo discutere di difficoltà varie nelle forniture e della necessità di accelerare la campagna vaccinale. Ma non si può stare solo a guardare. Proprio ieri è stata resa pubblica una ICE (iniziativa dei cittadini europei), denominata “No profit on Pandemic”, promossa da centinaia di associazioni della società civile, sindacati e movimenti politici presenti in 13 paesi europei, con la quale si chiede alla Commissione Europea un impegno urgente sul fronte della salute, favorendo la condivisione delle tecnologie, della ricerca scientifica e dei mezzi di cura per tutti, a cominciare dai vaccini. Abbiamo tutti diritto alla salute: osservano i proponenti che “in una pandemia, la ricerca e le tecnologie dovrebbero essere condivise ampiamente, velocemente, in tutto il mondo. Un’azienda privata non dovrebbe avere il potere di decidere chi ha accesso a cure o vaccini e a quale prezzo. I brevetti forniscono ad una singola azienda il controllo monopolistico sui prodotti farmaceutici essenziali. Questo limita la loro disponibilità e aumenta il loro costo per chi ne ha bisogno (..) Non possiamo permettere alle grandi aziende farmaceutiche di privatizzare tecnologie sanitarie fondamentali che sono state sviluppate con risorse pubbliche. (..) L’erogazione di fondi pubblici per la ricerca dovrebbe sempre essere accompagnata da garanzie sulla disponibilità e su prezzi controllati ed economici.”
Nello stesso giorno, l’11 marzo, si è riunita la Commissione TRIP’s che regolamenta i diritti di proprietà intellettuale del WTO (l’Organizzazione Mondiale del Commercio) per valutare la proposta avanzata da India e Sudafrica di sospendere temporaneamente i brevetti sui vaccini per tutta la durata della pandemia. La proposta è caldeggiata dall’Organizzazione Mondiale per la sanità e da tutte le associazioni che si battono per i diritti umani in nome del diritto universale alla salute. Non si tratta solo di un principio umanitario, come ha osservato Sara Albiani di Oxfam Italia (il Manifesto, 11 marzo): “Nel mondo il Covid-19 ha già ucciso 2 milioni e mezzo di persone, mentre gran parte dei Paesi non ha letteralmente mezzi per combattere il virus. Consegnando il potere di decidere della vita e della morte di milioni di persone a un ristretto numero di case farmaceutiche, le nazioni ricche non fanno altro che prolungare l’emergenza sanitaria globale, mettendo a rischio altre innumerevoli vite. In questo momento cruciale della lotta contro la pandemia, tutti, Paesi ricchi e Paesi in via di sviluppo devono agire compatti e intraprendere azioni coraggiose, perché nessun Paese potrà vincere questa battaglia da solo”. Finora gli Stati Uniti ed il blocco dei paesi industrializzati dove hanno sede le multinazionali farmaceutiche si sono opposti. Non conosciamo ancora l’esito della riunione ma sappiamo già che l’Italia e gli altri paesi dell’Unione Europea, d’accordo con la Commissione, hanno deciso di opporsi alla proposta. E’ evidente che in questo campo la politica gioca una partita fra la vita e la morte. Ma non è questo l’unico settore in cui la politica ha a che fare con la vita e la morte. Il 9 marzo è stato reso pubblico un rapporto del Commissario per i Diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatovic, (A distress call for human rights) che stigmatizza le politiche con cui gli Stati europei contrastano le attività di ricerca e salvataggio in mare delle ONG, delegando alle milizie ed alle guardie costiere dei paesi di transito, come la Libia, il respingimento collettivo dei migranti intercettati in mare: “I paesi europei non riescono a proteggere rifugiati e migranti che cercano di raggiungere l’Europa attraverso il Mediterraneo. L’arretramento nella protezione delle vite e dei diritti di rifugiati e migranti sta peggiorando e causando migliaia di morti evitabili ogni anno “. Anche in questo caso la politica è arbitra fra la vita e la morte.