In concomitanza con la “Giornata in memoria dei caduti per Covid” (18.03) si è tenuta la “Giornata del riciclaggio”, attività dove l’Italia è al primo posto in Europa, dato forse inquietante. Quale tipo di “riciclaggio” si festeggia? Perché pochi si chiedono: “Dove vanno a finire i nostri rifiuti?” Unici luoghi certi sono le discariche e i pochi inceneritori esistenti in Italia. Forse un giorno verremo a capo dei larghi movimenti che l’impegnativa (per noi, anche economicamente) attività di raccolta differenziata comporta, sempre a favore de “l’ambiente”.
Milioni di chilometri quadrati di oceani sono ricoperti da plastica galleggiante. Tutti i servizi di “informazione” ambientale cercano di convincerci che la colpa è nostra, che facciamo male la raccolta differenziata. Francamente non riesco a capire come può una bottiglia di plastica superare le colonne d’Ercole e giungere nel centro dell’Atlantico (e perché no, del Pacifico) se la metto dentro il sacchetto della differenziata. Certamente non giungeranno nei mari della Polinesia le plastiche che prendono fuoco nei depositi “autorizzati”. Un evento “accidentale” che si è ripetuto recentemente oltre duecento volte nell’Italia settentrionale. Anche le bolle sono infiammabili.
Un indizio della provenienza delle plastiche oceaniche ci giunge dai dati economici globali: fino a qualche anno fa le navi cinesi facevano carichi di plastica europea, nei viaggi di ritorno delle loro esportazioni in Europa. Una sorta di zavorra pagata da noi. Oggi la Cina, in questo, non ci è più vicina, non imbarca più i nostri rifiuti, così si sono sviluppati tantissimi incendi. Altre strade meno sicure sono state prese dagli smaltitori italiani. Bisognerebbe seguire il vero tragitto dei nostri rifiuti, soprattutto negli oceani. Chi ha fatto un lavoretto di edilizia in casa sa quante difficoltà ambientali si pongono a chi deve smaltire un innocuo rifiuto inerte. Chiediamo che un obbligo analogo debba essere seguito da chi maneggia la nostra differenziata. Che va in giro per il mondo.