Non è un caso se Enrico Letta, neo-segretario del PD, ha scelto la sede dell’AREL e non quella del PD per incontrare Giuseppe Conte e rilanciare, di fatto, un’alleanza che la nascita del governo Draghi sembrava aver messo in discussione. L’AREL non è un luogo qualsiasi, meno che mai per Letta. L’Agenzia di Ricerche e Legislazione, fondata da Beniamino Andreatta nel 1976, in concomitanza con l’ingresso in Parlamento del compianto professore trentino e di altre personalità di rilievo della DC, su tutte Umberto Agnelli, nacque infatti per far fronte a una crisi dei partiti che già all’epoca si faceva sentire. Nacque per giocare dentro e fuori, negli anni del compromesso storico, poi finito come tutti sappiamo per via delle note vicende, e di una disgregazione politica e istituzionale che cominciava a essere tangibile, nella stagione tragica della P2, del Banco Ambrosiano, di Calvi, di Sindona, dello scandalo che travolse la Banca d’Italia e due persone perbene come Baffi e Sarcinelli e nel tormento delle nomine bancarie che Andreatta decise in piena autonomia, pagando per questo un prezzo altissimo. Nacque, insomma, per essere al contempo un luogo d’incontro e un campo di battaglia, frequentato da molteplici personalità e galantuomini di tutti gli schieramenti. La sinistra democristiana era di casa, certo, ma non mancavano profili della Sinistra indipendente come il professor Pasquino, negli anni delle riforme istituzionali, quando Craxi spingeva per il presidenzialismo e figure come Andreatta, Scoppola, Ruffilli e Leopoldo Elia ragionavano, invece, su come superare una Prima Repubblica ormai giunta all’epilogo, opponendosi sia al disegno craxiano sia, soprattutto, a coloro che avevano nel Piano di Rinascita Democratica di Gelli la propria fonte d’ispirazione. L’AREL è sempre stato, dunque, un luogo di costruzione: di scenari, di immaginari, di proposte, di idee, di prospettive. Letta vi entrò giovanissimo, nei primi anni Novanta, e tutto questo lo sa meglio di chiunque altro, avendo ereditato da Andreatta lo studio e il ruolo politico. Enrico sa che fu in AREL che avvenne la resistenza dei popolari di sinistra contro la svolta berlusconiana di Buttiglione. Così come c’era quando, sempre in AREL, si svolgevano le riunioni sul conflitto d’interessi, cui per il PDS partecipava Vincenzo Vita e per la Lega un giovane Marano, ai tempi in cui si preparava l’Ulivo e l’evoluzione del sogno moroteo di infrangere le barriere della democrazia bloccata che aveva finito col prosciugare lo stagno democratico del nostro Paese, favorendo l’ascesa di ogni forma di estremismo. Chi si sorprende per l’intesa fra Letta e Conte, mi spiace dirlo, ma non è ben informato e, con ogni evidenza, non sa cosa è avvenuto in questi anni. Poi c’è qualcuno in malafede e pazienza. Letta e Conte si conoscono e si stimano fin dai giorni del governo gialloverde, quando l’allora presidente del Consiglio di uno dei peggiori governi della storia repubblicana si recò in Asia, manifestando saggezza e spirito collaborativo nei confronti del progetto Italia-ASEAN, promosso da Letta per favorire gli scambi culturali e commerciali con un universo in dirompente ascesa. Poi si sono rivisti a Roma, lo scorso autunno, in occasione di una delle migliori edizioni del Foro di dialogo Italia-Spagna, creato da Andreatta nel ’99 e oggi rilanciato da Letta e dai vari esecutivi del nostro Paese, con lo scopo di favorire un rapporto privilegiato con i cugini mediterranei, al fine di promuovere quel ClubMed senza il quale l’Europa semplicemente non può avere un domani. Insomma, fra i due c’è una frequentazione che non nasce oggi e che, di sicuro, è stata cementata anche dal fatto di essere state le due vittime più illustri del renzismo, la cui strategia muscolare e isolazionista ha condotto il PD e il centrosinistra nel baratro.
L’AREL, oltretutto, in questi anni è stato anche il luogo in cui si è svolta la Scuola di Politiche, fino a quando è stato possibile realizzare le lezioni in presenza; pertanto, questo incontro costituisce un messaggio fortissimo. In questo caso, difatti, non conta tanto il come e il quando ma il dove. Aver scelto l’AREL anziché il PD, un luogo dell’anima anziché una sede ufficiale, significa aver dato il segnale di un dialogo aperto e senza smanie di annessione, senza il desiderio di comprimere l’altrui identità e ribadendo, aspetto non da poco, il fermo proposito di andare oltre l’Agenda Draghi.
Invitando Conte nel mondo di Andreatta, Letta ha detto ai 5 Stelle molto più di chiunque altro in questi anni. Ha detto loro di aver imparato per davvero dai propri errori, che non ridirebbe mai di preferire che i voti vadano a Berlusconi piuttosto che a Grillo e che ne riconosce i meriti e i limiti ma, più che mai, l’evoluzione, la crescita, il cambiamento: lo stesso che ha compiuto lui grazie ai giovani che ha frequentato fra Roma, Parigi e Cesenatico, comprendendo la complessità del nuovo secolo e il bisogno, questo sì frutto dell’eredità morotea e andreattiana, di ampliare le maglie della democrazia al fine di includere ogni spinta vitale, senza esclusioni di sorta.
Molta strada resta ancora da compiere. Roma sarà un ostacolo tutt’altro che facile da aggirare. Le Amministrative, con il loro carico di incertezza e ripicche, restano in agguato. Fatto sta quell’incontro in AREL pone le basi per andare finalmente insieme e, si spera, il più lontano possibile, senza l’arroganza reciproca che in passato ha generato unicamente danni e rimpianti.
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