A settembre 2020 era già sufficientemente chiaro il copione seguito dalle batterie sovraniste che scorrazzano libere nelle praterie social dove insultare, minacciare, travisare non produce alcun effetto collaterale. Ma c’è voluto l’anniversario della guerra in Siria per comprendere fino in fondo quale fosse il reale intento di alcuni portabandiera sovranisti. Questo: sminuire la portata della strage siriana, attenuare l’immagine feroce del dittatore, “inseguire” i giornalisti che raccontano ogni giorno quel massacro per cercare di tracciare un solco nella sensibilità di noi occidentali, troppo impegnati nella nostra personale e pur complicata “guerra” contro il covid. I cronisti esperti di quella guerra, specie se di origine siriana, sono stati presi di mira in un modo sistematico e organizzato che non lascia spazio alla possibilità che si trattti di un “semplice” scambio di opinioni diverse sui social. No, non è questo. Non sorprende nemmeno che una delle più “autorevoli” opinioniste di concetti sovranisti chiami spesso in causa un uomo politico, di Governo, il sottosegretario all’Interno Nicola Molteni. Perché scomodare un membro del Governo Italiano nel dialettico confronto sulla guerra in Siria? Semplice : perché chi parla di massacro non dà conto del terrorismo, anzi lo difende, forse addirittura lo fiancheggia. Il Pd per esempio, secondo questa ricostruzione, ne è un possibile finanziatore. Ecco cosa succede in un qualunque giorno di ordinario assalto al nemico del sovranismo sui social in lingua italiana. Tutto ciò si potrebbe ignorare, ma non è semplice. Identico copione viene attuato per l’immigrazione, da tempo gran tema di confronto sull’ordine e la sicurezza pubblica in Italia, diversamente dalla mafia, ridotta ormai a sottocategoria rispetto al pericolo migratorio. Articolo 21 con la Federazione Nazionale della Stampa Italiana ha già promosso un’azione volta a smascherare la “batteria” degli insulti social contro i giornalisti che narrano di immigrazione e di guerre sottovalutate, come quella in Siria, appunto. A settembre è stato consegnato un dossier al Ministero dell’Interno contenente tutte le prove documentali degli attacchi social. Adesso il secondo passo, con una richiesta di interventi all’Agcom e all’Autorità di garanzia della privacy, quest’ultima chiamata in causa perché negli attacchi ai giornalisti vengono indicati in sede pubblica dati sensibili. Potrebbe non bastare nemmeno questa iniziativa, tuttavia è ineludibile nelle stesse ore in cui la più nota delle “cacciatrici” di immigrati via social, ossia Francesca Totolo, sta riproponendo il vecchio refrain dell’invasione di migranti, per di più malati di covid e guai a chi racconta che si tratta di disperati, perché lei ha già pronto da qualche parte un qualche video di migranti felici altroché vittime di guerra e in fuga. E si avanti così nella prateria dei social.