Dodici violentissime coltellate davanti al figlio di quattro anni. Ornella Pinto avrebbe compiuto 40 anni tra pochi mesi. Purtroppo non arriverà a spegnere quelle candeline. Perché Pinotto Iacomino, 43 anni– il suo compagno, che come da terribile copione non aveva accettato la loro separazione – l’ha uccisa crudelmente. Un altro carnefice senza pietà. Secondo i medici, che hanno cercato invano di salvare Ornella, l’ha aggredita con una “brutalità inaudita”. Inseguendola in tutte le stanze, dove la donna cercava invano di scappare. Era riuscita a fare un’ultima telefonata di aiuto alla sorella. “Mi sta uccidendo – aveva detto – chiama la polizia”. L’uomo dopo l’omicidio, prima è fuggito e dopo si è costituito dai carabinieri in provincia di Terni. La coppia conviveva nel quartiere di San Carlo Arena. La donna era già arrivata all’ospedale Cardarelli di Napoli in condizioni disperate.
Quando leggi queste notizie sembra tutto inutile, soprattutto se qualche giorno prima avevi organizzato un weibinar, “Imbavagliati, le donne della Resistenza” in onore delle settantamila italiane che eroicamente portarono avanti la Resistenza al femminile durante la seconda Guerra Mondiale; cercando di accendere una luce, attraverso testimonianze dirette dall’Italia e dal mondo, sui diritti umani negati a giornaliste, attiviste che si battono strenuamente per difendere gli ultimi e dando voce a quegli, avvocati, enti, associazioni, che tentano di aiutare le donne vittime di violenza. Eppure, nonostante tutti gli sforzi della società civile, ti rendi conto che si fa troppo poco in Italia, in Campania.
Lo ha detto chiaramente la giornalista Ida Palisi, direttore del portale Napoli Città Solidale, che ha parlato delle donne protagoniste di azioni di emancipazione dal disagio e dall’emarginazione, con il sostegno del terzo settore a Napoli. “La Convenzione di Istanbul, ratificata nel 2013 – ha detto la Palisi – aveva stabilito che doveva esserci un centro antiviolenza ogni 10mila abitanti. Quindi Napoli, che ha un milione di abitanti, ne avrebbe dovuti avere 100. Invece nel centro storico della città, ne esiste solo uno ed è anche chiuso. L’attenzione delle istituzioni in questo senso è bassa”.
Quello stesso centro storico, dove è stata massacrata Ornella Pinto e meno di due anni fa, alla Sanità anche un’altra donna. Si chiamava FortunaBellisario. Era una casalinga e affettuosa madre di tre bambini. A soli 37 anni viene uccisa, il sette marzo del 2019, da suo marito Vincenzo Lo Presto, di 43 anni, che già le aveva usato violenza e che la finisce, colpendola ripetutamente con una stampella. Da pochi giorni la notizia che il suo assassino, dopo solo due anni di carcere, è agli arresti domiciliari: un provvedimento giudiziario che ha provocato grande rabbia e sconforto in chi amava Fortuna e da parte di tutti quei volontari che difendono le donne dal femminicidio, invitandole a denunciare….
“A meno due anni – ha spiegato Manuela Palombi, in rappresentanza dell’associazione “Forti Guerriere”, le donne della Sanità che in questi giorni stanno protestando contro la scarcerazione di Lo Presto – nella stessa casa dove ha massacrato la moglie e dove vive la madre, anche lei vittima di sue violenze, quest’uomo ritorna agli arresti domiciliari senza scorta, senza braccialetto elettronico. Addirittura gli era stata data la possibilità di vedere i figli, attualmente in una casa famiglia. Possibilità fermata, grazie all’intervenuto del tribunale dei minori che ha ritenuto che non potesse né vedere né sentire i bambini”. “Le ‘Forti Guerriere’ in questi giorni – ha continuato la Palombi – hanno messo in atto una protesta silenziosa, che è arrivata alla coscienza di moltissime persone. Da queste vicende le donne entrano in crisi, un castello si gretola. Ma io le esorto ancora a denunciare, partendo dalle storie di donne che ce l’hanno fatta. Vi continueranno a tutelare e a supportare!”
“Dobbiamo essere Resistenti – ha dichiarato Elisa Marincola, Portavoce di Articolo21 – per proteggere le bambine di oggi che un giorno diventeranno donne e non dovranno subire il linguaggio dell’odio”. Quel linguaggio violento, come ha spiegato Anna Del Freo, membro del comitato direttivo dell’European federation of journalists (Efj) e presidente della Federazione Nazionale della Stampache “nel 2020 è stato per il 50% nei confronti delle donne, prese di mira su tutti i social”. Ma come si può fermare questa escalation di violenza? “Io recupererei una parola – ha detto Giuseppe Giulietti, Presidente della FNSI – che si è quasi dispersa, la parola grazie. Noi dobbiamo ringraziare, io devo ringraziare questa rete perché questo titolo ‘le donne nella resistenza’, crea un filo tra passato e presente e questa è la prima cosa che bisogna fare: coltivare la memoria sapere che la battaglia per la libertà di stampa e la battaglia per la libertà non ha tregua, non ha confini, non può avere pausa non può conoscere cinismo”.
E a proposito di battaglie, ha parlato delle difficili condizioni delle donne immigrate, che se aiutate possono trovare un futuro, l’attivista ivoriana Fatou Diako, presentandosi per la prima volta nel suo nuovo ruolo di Presidente di Articolo21 Campania.
Donne che difendono la libertà, nonostante il rischio di violenze, del carcere. Ha raccontato dei tragici avvenimenti in Bielorussia – dove attualmente sono in carcere 250 prigionieri politici, molti dei quali già processati e condannati ad una pena detentiva dai 2 ai 10 anni senza essersi macchiati di alcuna violenza, ma soltanto per il loro dissenso – la giornalista Ekaterina Ziuziuk, nuova Presidente del Presidio di Articolo21 del Trentino Alto Adigee portavoce dell’Associazione bielorussi in Italia “Supolka”.
“Quello che sta accadendo in Bielorussia – ha detto la coraggiosa Ziuziuk – è paragonabile agli anni del Fascismo, all’epoca delle purghe staliniane. Il mio popolo voleva semplicemente votare per un candidato alternativo alle elezioni presidenziali, che sono state truccate e non è tuttora d’accordo con l’esito ufficiale delle elezioni. Così è sceso in piazza per protestare pacificamente contro la frode elettorale, ma le autorità hanno agito con una violenza sproporzionata, usando le granate stordenti e le pallottole di gomma da distanza ravvicinata, provocando quattro morti. Ci sono 550 casi di tortura documentati, anche se molte persone hanno avuto paura di parlare. Abbiamo assistito a decine di condanne, alla reclusione fino a 10 anni, semplicemente perché le persone protestavano o perché si trovavano in un posto sbagliato nel momento sbagliato”. Un caso emblematico è quello Katsiaryna Andreyeva e Darya Chultsov, due giovanissime giornaliste di Belsat, emittente televisiva polacca che trasmette anche in Bielorussia, che avevano semplicemente ripreso e coperto le manifestazioni antigovernative dello scorso novembre e per questo sono state incarcerate e condannate con una detenzione di due anni per “avere organizzato un evento volto a turbare l’ordine pubblico”.
Donne vittime del retaggio culturale, ma anche protagoniste di recenti e storici progressi politici, sono quelle africane. Ne ha parlato la giornalista e direttrice di Focus on Africa, Antonella Napoli; tra l’altro l’analista di questioni internazionali, è autrice de’ “Il vestito azzurro”, in libreria dal 18 febbraio con People, che affronta proprio il tema delle donne in Sudan. “Qualche passo importante è stato compiuto – ha spiegato la Napoli – ma tanto resta ancora tanto da fare, come dimostra anche la recrudescenza di violenza nei confronti delle donne durante la pandemia. Infatti in Africa si sono moltiplicati i casi di violenza sessuale e quelli di infibulazione. In Nigeria, per esempio, sono aumentati del 149%. Paradossalmente lo stesso paese originario di Ngozi Okonjo-Iweala,la prima donna africana ai vertici del Wto. Insomma c’è un ritrovato femminismo, la voglia di conquistare i diritti negati, ma la strada è ancora lunga”.
Ha parlato della condizione femminile nell’Islam, l’antropologa culturale, giornalista e esperta di Medio Oriente, Tiziana Ciavardini, autrice con il sociologo della comunicazione Marino d’Amore del libro “Fammi parlare” (Primiceri Editore). L’intento del volume, da pochi giorni nelle librerie, è analizzare lo stato di salute dell’informazione in Italia e nel mondo. “Purtroppo in molti di questi Paesi – ha spiegato la Ciavardini – esiste ancora il fenomeno delle “spose bambine”. Una pratica che permette ai genitori, di “vendere” al migliore offerente la propria figlia, anche di soli otto anni, dandola in sposa ad un uomo anche di 40 anni. Continua, poi, a perpetuarsi quello che in Italia, era chiamato il ‘delitto d’onore’, ma molto più grave. Un fratello, un padre, un nonno può decidere di uccidere una componente della famiglia, se ritiene che ha macchiato l’onore alla famiglia. Ultimamente ci sono stati due casi di bambine uccise, che ho segnalato su Articolo2”. Infine l’antropologa ricorda di quanto le donne siano ancora soggette alle decisioni dei mariti, come nel recente caso di “Samira Zargari, la head coach della squadra iraniana femminile di sci alpino, alla quale non è stato consentito di accompagnare le sue atlete ai Mondiali di Cortina, perché il marito le ha proibito di lasciare il Paese”.
Non ci resta che ripetere il messaggio che le donne Resistenti hanno consegnato alla giovani generazioni in “Libere sempre”, il significativo video-omaggio alle partigiane, ideato e prodotto dal Coordinamento donne ANPI, che ringraziamo per aver concesso questa proiezione: “Siate partigiane ogni giorno, per essere libere veramente!, perché “La libertà non è un regalo, ma è una conquista che va difesa ogni giorno”.
“Imbavagliati, le Donne della Resistenza” è un evento realizzato con la collaborazione dell’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli, con il patrocinio di Articolo21 e conmedia partner dell’iniziativa Eurocomunicazione, portale diretto da Giovanni De Negri.